Da Salvini a Renzi è sempre e solo togarchia

Alcide De Gasperi, in anni ormai lontani, parlava, con riferimento ai potentati economici, di “quarto partito”, senza il consenso del quale l’Italia non si poteva governare.

Riflessione straordinariamente attuale, quella del fondatore della Democrazia Cristiana, con una postilla: al potere economico si è sostituito, piaccia o non piaccia, il potere giudiziario. Nella giornata del 18 febbraio, questa verità, che sta sotto gli occhi di tutti da quasi trent’anni e che pervicacemente tutti fingono di non vedere, ha indubbiamente vissuto la sua apoteosi.

Chi può negare, infatti, che uno spettacolo come quello andato in scena nella giornata di ieri avrebbe fatto fatica a pensarlo pure Raffaello Matarazzo in uno di quei suoi “drammoni” cinematografici tanto in voga negli anni quaranta? I tifosi che la mattina chiedevano la galera per Matteo Salvini, a sua volta difeso da altri tifosi che invocavano il rispetto dello stato di diritto, a mezza sera, alla notizia degli arresti domiciliari disposti a carico dei genitori di Matteo Renzi, si sono scambiati le curve.

A ben vedere, nessuna novità; in Italia le garanzie, la presunzione di non colpevolezza, i diritti della difesa, valgono solo per gli amici e spariscono, sostituiti dalle strizzatine d’occhio, quando ad essere messi sotto accusa sono gli avversari. Sia ben chiaro, delle due vicende, così la più gran parte degli italiani, sappiamo solo ciò che leggiamo dai giornali e, quindi, ben poco. Ma non sono gli episodi in sé ad essere rilevanti, bensì il clima che questi episodi ha consentito e consente. Vogliamo finalmente chiederci perché in questo Paese, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, è sempre e solo la magistratura a dettare l’agenda politica?

I colpevoli sono facilmente individuabili e, probabilmente, è il caso di cominciare a dirselo chiaramente senza false indulgenze. Sullo scranno degli imputati sta innanzitutto il popolo italiano. La natura di tifosi sta iscritta nella biografia della Nazione dal tempo dei Guelfi e dei Ghibellini, la doppia morale di chi è invariabilmente forcaiolo con gli avversari, e altrettanto invariabilmente garantista per i propri amici, sembra scolpito nel nostro Dna.

Questo carattere nazionale si è, se possibile, aggravato negli ultimi anni. Gli italiani non sanno più coltivare alcuna autocritica, né nella vita personale né in quella pubblica; ciò li conduce, per un verso, alla necessità di individuare sempre nuovi nemici a cui attribuire i propri fallimenti e, dall’altro, alla compulsione ad affidarsi a sempre nuovi uomini del destino, da erigere invariabilmente, dapprima, a guru della nazione e, poi, alle prime inevitabili delusioni, gettare nella polvere, in un’eterna riproposizione di un qualche Piazzale Loreto. Ovvio che una visione palingenetica della giustizia sia oltremodo funzionale a questa deriva da bambini narcisistici e rabbiosi.

Il secondo colpevole è la classe politica, tutta. Lo schema è sempre lo stesso: non ce n’è uno che al primo briciolo di potere non faccia la corsa a emanare un codice anti-qualcosa o qualcuno, che invariabilmente prende a picconate lo stato di diritto, e, poi, quando ci vanno di mezzo loro, si mette a strepitare alla presunzione di non colpevolezza, alla misura sproporzionata, all’oscena esposizione mediatica.

Le dichiarazioni di Matteo Renzi, di queste ore, sono da manuale: al netto dei suoi comprensibilissimi sentimenti di figlio, come non diffidare di chi al mattino chiedeva pene esemplari per Salvini (così come, a vario titolo, per i genitori dei due dioscuri pentastellati Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista) e alla sera scopriva il tema, vecchio come il mondo, dell’abuso della custodia cautelare. Problema serio, beninteso, perché troppi sono coloro che hanno visto le proprie vite distrutte da inchieste giudiziarie poi risoltesi in un nulla di fatto, ma che stona insopportabilmente nelle parole di chi voleva propinarci, in favore di sondaggi, il magistrato Nicola Gratteri quale ministro della Giustizia o pretendeva di appaltare all’altro magistrato Raffaele Cantone pure la sostituzione delle lampadine.

In conclusione, per salvarsi, gli italiani tutti, rappresentati e rappresentanti, dovrebbero siglare un patto nazionale che porti a una grande riforma della giustizia che ci restituisca uno stato di diritto degno delle moderne democrazie liberali. Con questo popolo e con questa classe politica dubito che avverrà.

Aggiornato il 19 febbraio 2019 alle ore 18:24