I terzisti dell’ipocrisia

Domenica , nel corso di una lunga intervista a Matteo Salvini, il conduttore di “Non è l’Arena” Massimo Giletti, sul tema spinoso delle autonomie regionali, ha espresso in forma di verità rivelata un trito luogo comune molto diffuso nella nostra Repubblica delle banane.

In sintesi, in merito alla storica e conclamata arretratezza del Sud Italia sul piano dei servizi pubblici, questo campione dell’informazione terzista, in cui per un puro tornaconto legato all’ascolto si fa esercizio di cerchiobottismo, se l’è presa con la classe politica locale. Una classe politica che, testualmente, troppo spesso dimostra di non essere all’altezza del popolo meridionale. Ergo, dobbiamo arguirne, che le cose sono due: o la medesima classe politica proviene da Marte, come in qualche modo ha ironicamente suggerito il ministro dell’Interno; oppure i cittadini che vivono nella parte bassa dello Stivale sono così sfortunati da eleggere da oltre settant’anni amministratori pubblici mediamente molto ma molto al di sotto rispetto a quelli che appartengono ad tante altre zone del Paese.

Ora su questo piano, volendo accettare l’idea che il buon Giletti sia intimamente convinto delle idee che esprime in tv, mi sentirei di consigliargli l’approfondimento della famosa, almeno nel campo liberale, “Teoria della scelta pubblica” del compianto premio Nobel James McGill Buchanan Jr. In essa troverebbe interessantissimi spunti per comprendere il rapporto a doppio filo che esiste in ogni democrazia tra elettori ed eletti, laddove questi ultimi rappresentano, in estrema sintesi, una sorta di emanazione dei primi. E comunque non credo che esista un qualsiasi luogo del pianeta nel quale si possa sostenere, con la stessa certezza manifestata dal giornalista piemontese, che gli uomini politici del luogo siano tutti completamente avulsi dalla storia, dalla cultura, dagli usi, dai costumi, dalla psicologia e dai criteri educativi caratteristici degli altri abitanti.

Dirò di più, caro Giletti. Questa forma di demagogia, in verità vecchia come il cucco, di creare una separazione quasi genetica tra il popolo buono e la classe politica cattiva (una volta esisteva la diversità cromosomica di un defunto partito della Sinistra italiana) non rende un buon servizio al sistema nel suo complesso, in quanto si tende ulteriormente a deresponsabilizzare l’individuo, scaricando su astratto capro espiatorio, la classe politica per l’appunto, ogni colpa di ciò che non funziona nella società, spianando la strada ai populismi di ogni colore. In definitiva, partendo dal presupposto einaudiano secondo cui per decidere occorrerebbe sempre conoscere, non si rende un buon servizio all’informazione in senso generale.

Aggiornato il 18 febbraio 2019 alle ore 11:58