
Non c'è bisogno di nascondere sotto i propri piedi tracce di scie pentastellate né di esser mai stati annoverati tra i sostenitori del metodo Stamina per cogliere un aspetto inquietante in questa pazza corsa dei detrattori di Giuseppe Conte alla scoperta delle ombre che incombono su di lui. Già perché quando giornalisti spesso chiamati a questionare e dispensare necessarie analisi politiche in Tv abbracciano la tesi secondo cui la colpa più grave di Conte al di là del “falsificato curriculum” sarebbe l'aver difeso le ragioni di Stamina, sostenendo come scrive Tommaso Labbate che la colpa è "più grave di avere una patente falsa. Punto". Ecco, il punto si teme, qui è ben altro.
Di abbraccio mortale infatti si tratta, tanto è spiazzante, se non prova di strumentale malafede, l'evidente (voluta?) ignoranza dei principi di civiltà giuridica e dei capisaldi dello stato di diritto sanciti dalla Costituzione e dalla norma, sì dài, la legge. Quegli articoli della nostra Carta e dei codici che prevedono il diritto e le garanzie di difesa (di chi lo esercita per professione e di chi se ne avvale per tutelarsi e tutelare le proprie ragioni) e il sacrosanto principio che il difensore difende i propri assistiti, non difende situazioni o reati o, nel caso del “peccato” attribuito a Giuseppe Conte, metodi, con i quali non può esser identificato. È l'ABC e vale per tutti!
Anche per Conte che non ha difeso il metodo Stamina ma le ragioni dei suoi clienti.
Se non vogliamo familiarizzarci diamo pure fuoco ai nostri codici e agli articoli della Costituzione indigesti a chi è digiuno dei capisaldi della civiltà giuridica. Perché il punto è anche un altro, di pari gravità. Se seguita a passare questo messaggio oggi il linciaggio tocca a Conte ma presto colpirà con ancor maggior violenza, come è peraltro già accaduto, a qualunque difensore di indagati e accusati di qualsivoglia reato su cui il sodalizio tra opinione pubblica, alcune procure e certi uffici di polizia giudiziaria, decidesse di spruzzar benzina per accendere il fuoco della presunzione di colpevolezza.
Questo comune sentire è un pericolosissimo brodo di coltura che conduce per direttissima ad una progressiva amputazione dei valori su cui vive ogni civiltà democratica in cui al ruolo del difensore viene riconosciuto il compito di sentinella dei diritti e delle garanzie in qualsiasi procedimento giudiziario.
Il rispetto delle regole e dei capisaldi del giusto processo nel percorso di accettamento dei fatti e della verità non è materia negoziabile. Se lo diventa si apre definitivamente la porta agli arbitri, si sdoganano le minacce e i ripetuti attacchi, dei quali le cronache dell'ultimo anno a cui ci si è ben guardati dal dare risalto, sono state colme, ai difensori ed al prezioso, democratico e costituzionale compito che svolgono.
Una brutta china che ci anestetizzerà anche al cospetto di azioni di intimidazione, a perquisizioni ed interferenze indebite da parte di procure e uffici giudiziari nei confronti di avvocati proprio nel corso dell'esercizio della loro funzione difensiva. È già accaduto. Ma si seguita a scrivere di legalità solo in un senso. Mai rivendicando le garanzie su cui è incardinato un equo sistema giuridico. Comprese quelle della funzione difensiva.
Davvero vogliamo, un giorno non lontano, doverci chiedere: come siamo potuti giungere a tutto questo?
Aggiornato il 23 maggio 2018 alle ore 17:24