Davigo: il dottor sottile vuole lo “jus grossus”

Nel “pool” di “Mani Pulite” lo chiamavano il “Dottor Sottile”. Tutto è relativo. In un ambientino in cui primeggiava Tonino Di Pietro ed in cui la “giustizia” funzionava col minuetto “io ti arresto, tu, confessi, e accusi un altro, io arresto quell’altro e io ti rilascio” la sottigliezza doveva fare spicco e, magari, suscitare un po’ di compatimento tra i colleghi.

Oggi Piercamillo Davigo credo che sia l’unico di quel “pool” ad essere rimasto sulla breccia. Ha fatto carriera, naturalmente. I magistrati fanno tutti carriera. Il “livello” di presidente di Sezione di Cassazione non si nega a nessuno. Quando ero deputato feci ridere mezza Europa tirando fuori con una interrogazione e poi con articoli di stampa la storia di un magistrato sorpreso a compiere pratiche sessuali con un ragazzotto nella latrina di un cinema di periferia a Roma, e che per questo vide solo ritardata la sua nomina a consigliere di Cassazione (fu prosciolto anche in via disciplinare perché capace di intendere e giudicare – ma – non di volere, avendo dedotto di aver sbattuto la testa passando per una porta troppo bassa). “Promosso” finalmente in Cassazione, con gli scatti di anzianità conseguenti quale consigliere d’Appello, per un certo giuoco, davvero “sottile” di “trascinamento” provocò l’aumento di stipendio di tutti i magistrati del “livello” di consigliere di Cassazione. Anche la “sottigliezza” non sfugge alla massima di Sant’Agostino: “Charitas incipit a semet ipso”.

Ma torniamo a Davigo. Di carriera ne ha fatta, senza bisogno di “buttarsi in politica” come il più noto di quei suoi colleghi. È stato presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, fondatore, anziché di un partito, di una nuova corrente dì tale associazione. Ora candidato per il Consiglio superiore della magistratura. Ma soprattutto Davigo è divenuto un leader dell’oltranzismo del Partito dei Magistrati. Si prodiga in interviste e dichiarazioni. È del Nord – non si occupa (almeno così sembra) di mafia, ma di corruzione. La sua è una crociata contro la corruzione. È qualcosa come il Goffredo di Buglione della difficile impresa. Come tutti i generali che non si siano preventivamente resi padroni del Paese per cui combattono (o così sembra), Davigo se la prende con i governanti, con i legislatori e anche un po’ con i suoi colleghi, che non applicano il massimo ma il minimo delle pene. Aumentare le pene nel minimo. Ci sono troppi pochi corrotti in galera.

Ma c’è un punto in cui nel Goffredo di Buglione di questa novella crociato riaffiora il “Dottor Sottile” del tempo di “Mani Pulite”. Una sottigliezza, in verità, contro i “sofismi”, contro le “sottigliezze” delle leggi penali. Ci sono dieci fattispecie diverse previste dal Codice e dalle leggi che definiscono e perseguono fatti “sostanzialmente” (!) di corruzione. Si perde tempo ad orientarsi a discettare sull’applicabilità dell’una o dell’altra di queste norme. Ne basta una sola. E Davigo l’ha individuata. Pensate un po’, nel Codice Penale militare, di pace (per ora). È la norma speciale che punisce gli appartenenti alla Guardia di finanza per “collusione” con i privati in danno dell’Amministrazione finanziaria.

Il caso vuole che nella mia prima causa avanti all’allora Tribunale Supremo Militare, tantissimi anni fa, io abbia avuto a difendere un mio compaesano, finanziere, distaccato al confine con l’Austria, imputato di quel reato. Mi rimase indelebile il ricordo di un testimone agli atti, ritenuto fondamentale dai giudici di primo grado e da quelli del Tribunale Supremo: un Tizio che “aveva visto” l’imputato all’osteria “colludere.” con un sospetto “spallone”.

Ora Davigo vorrebbe che tutte le norme che prevedono qualcosa che sia o assomigli alla corruzione, siano sostituite da una tale e quale a quella per i finanzieri. Una norma penale “di largo respiro”, cioè di manica larga nel punire. O, più che larga, necessariamente “elastica”, perché dovrebbe essere “onnicomprensiva”, capace di punire (e dissuadere) i “cattivi” di ogni genere.

Risultato: buonanotte al “principio di legalità”. Legge “ampia”, “elastica” significa potere pressoché discrezionale del giudice. E degli agenti provocatori. Sissignori. Perché un’altra fissazione di Davigo è che bisogna stabilire una norma che consenta di usare “agenti provocatori” che vadano a offrire “denaro o altra utilità” a pubblici ufficiali, così che, se questi ci cascano, siano dichiarati “collusi” e condannati a pene severissime, perché al contempo Davigo vuole che siano aumentati i minimi di pena.

Un’osservazione nemmeno tanto “sottile”: ve lo immagiate un “ignoto” agente provocatore che va a proporre ad un sottosegretario un affarosissimo per qualche super-concessione? Ci cascherebbero solo gli usceri degli uffici del Comune!

Per farla breve, direi che la “sottigliezza” del Dottor Sottile Davigo si sta scatenando per ottenere, piuttosto, nient’altro che uno “jus grossus”. Una bella norma dal sapore medioevale che conferisca al feudatario togato un generico e temibile potere di “castigare opportunamente tutti i cattivi acciocché onestà e giustizia prevalgano e non subiscano offese”.

Viva la “sottigliezza”.

Aggiornato il 18 maggio 2018 alle ore 14:12