Scoprono le magagne: non le più grosse

Un po’ di ragionevolezza ogni tanto viene fuori persino dalle icone dell’“antimafia devozionale” e da qualche esponente del ceto responsabile della nostra povera giustizia.

Nell’anniversario dell’assassinio di Paolo Borsellino abbiamo inteso da Fiammetta, la figlia, parole impensabili in certe circostanze e che, magari avranno amareggiato l’ingegner Fratello. Fiammetta, anziché lanciare fulmini contro lo Stato complice dell’assassinio del suo congiunto, dei poteri occulti, dei servizi deviati, della Cia etc. etc., ha lamentato che la verità sugli assassini abbia tardato tanto, esplicitamente addebitandone la responsabilità ai magistrati, che, ne avevano commesse di tutte e di più e  si erano fatti dire “non so se per colpa, o dolo o per incapacità” dai pentiti di turno i nomi di innocenti invece che di colpevoli, ed ha chiesto pure scusa ai condannati all’ergastolo, solo ora riconosciuti innocenti. Pensieri apprezzabili e ragionevoli, cioè inconsueti. Non è certo la fine del sistema basato sul furore panforcaiolo, sui pentiti, sulle presunzioni, ma è già qualcosa, anzi, è molto, se pensiamo che ad esprimersi così è uno dei congiunti di una Vittima illustre della Mafia.

Un’altra dichiarazione che offre uno spiraglio di imprevedibile ragionevolezza è l’articolo di Michele Vietti, ex vice presidente del Csm ed ex sottosegretario alla Giustizia, apparso su “Il Foglio” del 19 luglio. Vietti “arriva ad ammettere” che “l’impostazione del nuovo codice antimafia si dovrebbe rivedere, fatto salvo l’impegno riformatore del ministro. Meglio di niente, anche se, francamente, parlar di “rivedere” un codice, ancorché antimafia, quando ad essere “rivista” dovrebbe essere addirittura l’“impostazione” è una vera contraddizione in termini, cui l’augurio all’intangibilità dell’impegno del ministro conferisce il sapore tragicomico di un leccapiedismo degno di miglior occasione. Ci dispiace per “Il Foglio”.

Nell’articolo di Vietti si Fanno delle ammissioni di estrema gravità, la cui portata, però, probabilmente sfugge a Vietti, come spesso accade nelle stentate e prudenti confessioni dei corresponsabili di certe malefatte. “Allentare la specificità delle norme... è una tendenza comune alla legislazione penalistica degli ultimi anni.

Per Vietti questo sembra un particolare tecnico. E, invece, significa ammettere che il “principio di legalità” fermamente stabilito dall’articolo 25 comma 2 della Costituzione, è sistematicamente violato. “Legalità” è divenuto un termine che indica quella cosa che insegnano nelle scuole le mogli dei magistrati e dei funzionari di Polizia, insomma, l’antimafia. Ma il principio di legalità, non lo dico io, ma lo disse la Corte costituzionale nella sentenza n. 96 dell’8 giugno 1981 scritta da un giurista non “sottile”, ma di grandissimo spessore come Volterra, non è osservata solo ponendo una qualsiasi norma di legge a base della pretesa punitiva, ma occorre che questa e la norma invocata siano effettivamente caratterizzate da una specificità e chiarezza non “allentate”.

La genericità, invece, ammette Vietti riguarda anche i poteri, le competenze e le procedure degli organi che debbono individuare “i meccanismi operativi” della confisca dei beni dei presunti mafiosi e della loro gestione. Anche se, bontà sua l’Orlandino “ha mostrato apprezzabile volontà riformatrice” (quella stessa che ci divertimmo a definire nello “Stupidario del Sì” all’epoca del referendum, con il detto sublime: bè, almeno è qualcosa di nuovo).

Appena qualche parola di prudente riserva dedica Vietti all’estensione delle misure “preventive” (?) patrimoniali dei reati contro la Pubblica Amministrazione ed alla ulteriore cavolata di “limitare” tali misure al caso in cui tali reati siano commessi nel contesto di una “associazione per delinquere”. Di essi Vietti lamenta che “abbia distratto il legislatore”, non già dall’osservanza dei principi fondamentarli del diritto penale, ma “dall’obiettivo della lotta alla mafia!.

Si tratta del punto che, di tutto il “codice antimafia” è il più oscenamente pericoloso! Ma decisamente comica è la conclusione “Forse sarebbe il caso di cambiare l’impostazione del progetto di riforma....

Alla faccia della “revisione” del testo approvato dal Senato. E, soprattutto, alla faccia delle ripetute sviolinate alle buone intenzioni del povero ministro Andrea Orlando. Del quale comincio a domandarmi se sia il suo aspetto e la sua statura politica un po’ miserella a doverci preoccupare, o, invece non sia altro. Ma, questo è il concetto di Vietti e, purtroppo, direi anche de “Il Foglio”. Ma, questo passa il convento. Meglio di niente? A forza di “abbozzare” secondo questo criterio siamo, intanto, giunti al punto in cui siamo. Quousque tandem?

Aggiornato il 20 luglio 2017 alle ore 21:54