
La vicenda giudiziaria che coinvolge Gianfranco Fini è una storia dolorosa per il mondo della destra italiana. Sarebbe sciocco negarlo. Fini non è uno qualsiasi. Ha avuto un ruolo decisivo nel processo di modernizzazione di una tradizione politica appesantita dai troppi macigni della memoria. Nessuno, prima di lui, era riuscito a rimuovere quei macigni dal codice genetico del Movimento Sociale Italiano. Giorgio Almirante, che è stato un gigante, lo aveva scelto come suo erede. Si sbagliava? È difficile pensare che l’uomo dalla vista lunga avesse preso un abbaglio madornale. Nessuno lo sospettò, anche tra coloro che oggi sono i più arrabbiati detrattori dell’ex presidente di Alleanza Nazionale.
Fini è stato l’ispiratore e l’esecutore della grande transizione di un partito, il Msi, impregnato di nostalgismo post-fascista, in un movimento, An, in linea con la destra europea laica e liberale. Un’evoluzione non facile, fatta di lacrime, di rotture, di drammi individuali e di rimpianti collettivi, ma coraggiosa e di successo. Un modello da seguire per tutte quelle formazioni presenti in altri Paesi del Vecchio Continente che vantano le medesime ascendenze cementate nella tradizione del Movimento Sociale Italiano. A cominciare dal Front National di Marine le Pen che sta affrontando un analogo processo di revisione, ma con un quarto di secolo di ritardo rispetto all’esperienza italiana.
Questi sono fatti che non si possono cancellare. Con ciò non si pretende asserire che il personaggio sia stato infallibile. D’altro canto, la perfezione non è di questo mondo. Gianfranco Fini di errori ne ha commessi, al pari degli altri leader che hanno calcato la scena della politica negli ultimi trent’anni. Rompere con Silvio Berlusconi nel 2010 fu uno sbaglio colossale. Ma quello sbaglio Fini lo ha pagato a caro prezzo. Il popolo della destra lo ha già giudicato decretando la fine prematura della sua ultima creatura, “Futuro e Libertà”, con il voto alle politiche del 2013. Quale sanzione più severa per un leader di partito che vedersi azzerato il consenso nelle urne? Un giorno o l’altro bisognerà mettere mano alla ricostruzione degli eventi che portarono alla rottura del patto nel Pdl. Ma dovranno essere i protagonisti, aiutati dagli storici, a tirare le somme di quelle giornate tumultuose. Non spetta alla magistratura riscrivere i capitoli più difficili di un’avventura chiamata Partito delle Libertà. C’è un indagine in corso che riguarda l’ex presidente della Camera dei deputati? Si attenda con serenità il pronunciamento delle corti di giustizia. Non facciamo che qualsiasi sussulto degli investigatori diventi verità di fede. Vale per tutti, vale anche per Fini. Ma lui, dicono quelli che gli puntano contro l’indice accusatore, avrebbe mentito sulla casa di Montecarlo. Che siano i giudici a stabilirlo nelle sedi competenti e non la giustizia sommaria dei processi mediatici. Se no, in cosa saremmo diversi da chi ha ammorbato il clima della Seconda Repubblica con l’odioso stillicidio giustizialista, inoculato nell’opinione pubblica attraverso l’arma letale dello sputtanamento a mezzo stampa? Non appartiene alla destra migliore la consuetudine di colpire l’avversario quando è a terra.
Ora, per quanto sia comprensibile che chi abbia molto amato si senta il più offeso nell’apprendere notizie sgradevoli, a tutto c’è un limite. Sbaglia Francesco Storace nel suggerire a Fini di spararsi un colpo alla testa. Meglio farebbe se, da vecchio sodale del capo, gli consigliasse di difendersi raccontando, una volta per tutte, come si svolsero i fatti dell’affaire Montecarlo. Meglio ancora sarebbe se Fini trovasse la forza di assumersi pubblicamente le responsabilità che gli competono. Non sarebbe una novità per il popolo di destra ascoltare un discorso di verità, depurato di ogni ammiccamento all’ipocrisia, che non andasse in cerca d’improbabili scusanti. Gli italiani, in fondo, amano coloro che li sfidano a viso aperto. E sono generosi. Perdonarono Benito Mussolini quando il 3 gennaio 1925 si recò in Parlamento a rivendicare la responsabilità morale della vile uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti per mano di sicari fascisti, figurarsi se non siano pronti ad accogliere la versione di Gianfranco Fini su una compravendita un po’ birichina.
Aggiornato il 30 maggio 2017 alle ore 21:36