Dimissioni con riserva

Riserva e riservisti. Cerco nella Treccani “accettazione delle dimissioni con riserva”, ma non trovo nulla. Quindi invito i responsabili della più famosa collana enciclopedica a consultare il sindaco Virginia Raggi per la doverosa integrazione. Io, nel mio ristretto perimetro di allievo giudizioso, posso solo formulare qualche congettura in merito. Ad esempio, che quel tipo di dissenso tra un capo e un suo collaboratore sia “transeunte”, per cui è vero che dissento e censuro l’operato di chi mi ha scelto e cooptato, però non vengo rimosso. In futuro forse verrò licenziato. Chissà. Nel caso specifico, posso essere l’ammortizzatore ideologico-operativo, idoneo come le cerniere un po’ arrugginite del Mose a contenere nei limiti consentiti il varo di un piano di cementificazione più o meno controllata della periferia sud di Roma, quella che guarda da vicino il mare, per la costruzione di un nuovo stadio, il cui gradimento popolare supera per numero di “like” i voti ricevuti dal sindaco in carica in occasione della sua elezione. Infatti, che cosa sarebbe il mondo grillino, oggi, senza i famosi “mi piace”? Simbolo di una società sfarinata che si coagula, come un impasto precario, appena le si aggiunge un po’ di lievito, per indurirsi appena il giorno dopo diventando merce non commestibile.

Molti ironeggiano sul punto, tra i quali i famosi “giornaloni” di cui parla e denuncia ad alta voce il relativo comportamento “scorretto” il famoso, giovane tribuno Giggino Di Maio, un po’ Pierino, un po’ leader aspirato. Il quale ogni tanto mette il turbo per provare a rimuovere la polvere che c’è intorno, disseminata dal grande lavorio del demone partitico, sempre indaffarato in truffe, magheggi e imbrogli a danno dell’innocente e mitizzato elettore, che invece in questo caos si fa comunque e sempre i fatti suoi, in considerazione dell’impossibilità dei poteri costituiti di fare rispettare regole inapplicabili. Certo, lo stato comatoso in cui la Giunta Raggi (obiettivamente assai peggiore delle due che l’hanno preceduta!) sta lasciando insoluti gli enormi problemi di Roma Capitale, sembra miracolosamente scorrere come un veleno innocuo nelle vene dei sondaggi preelettorali che danno in testa il Movimento 5 Stelle. Merito di una politica politicante che è tutta ombelico e pusillanimità; che fa marce indietro come i gamberi, soprattutto in materia di resa dei conti con l’Europa sul deficit di bilancio e sull’immigrazione.

A me sembra che sotto il nostro cielo regni la confusione assoluta un po’ ovunque e che, in fondo, tutti stiano aspettando incautamente la vittoria della Le Pen in Francia, per perdere ancora molti mesi a denunciare l’onda populista montante, che parte dalla Brexit per arrivare a Trump, nella segreta speranza che saltino in un colpo solo Euro e Ue, con la loro burocrazia folle e le ferree regole teutoniche. Quale termine spregiativo è questo dell’accusa di “populismo”, dunque, per designare un sentimento popolare di giustissimo rigetto delle attuali classi dirigenti, per colpe che sono tutte politiche? Infatti, si noti come, puntualmente, quando i grillini prendono il timone, nella loro assoluta mancanza di esperienza e sconcertante improvvisazione, nelle gestioni amministrative e di governo (per ora solo locale, per fortuna degli italiani!) si riproduca fedelmente anche al loro interno l’usuale guerra per bande e per la spartizione dello scarso (per ora!) potere detenuto. I loro vertici, invece che ammettere il fallimento e il difetto di competenza, fabbricano con grandissimo impegno improvvisati capri espiatori, prendendosela oggi con un giornalismo “servo dei padroni”, dimenticandosi delle innumerevoli prese di posizione e dei commenti assai benevoli ricevuti dal Movimento, sia ai suoi esordi che nel seguito recente, per le sue giuste battaglie contro la partitocrazia e la corruzione imperante.

Beppe Grillo dovrebbe rispondere alla seguente domanda: come si selezionano i meritevoli? E come si coniugano tra di loro onestà e capacità?

Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 18:13