Esporre l’elenco di tutti gli episodi nei quali viene ripetuto il principio che il magistrato applica la legge e risponde solo alla legge è operazione talmente inutile da confliggere anche con la teoria della probabilità, che si occupa dello studio dei fenomeni aleatori. Quando non siamo in grado di dare una caratterizzazione esatta del fenomeno e dobbiamo dare una descrizione globale del fenomeno stesso, usiamo la probabilità. Sono aleatori tutti gli esperimenti per i quali è difficile o impossibile prevedere in modo esatto il risultato, ma che presentano una qualche forma di regolarità.
Il comportamento dei fenomeni aleatori può essere descritto solo attraverso grandezze globali e/o medie. Ebbene in ogni lancio della moneta che prevede il lato in cui il magistrato ha applicato la legge e quello in cui non l’ha applicata, se la moneta non è truccata, si può sostenere che ogni faccia ha la stessa probabilità di uscire. Per i magistrati il modello probabilistico non funziona. Esce sempre il primo lato della moneta, cento lanci su cento. Il corpo della magistratura italiana ha una concezione animistica del suo ruolo e delle pratiche di culto giudiziario nelle quali vengono attribuite qualità soprannaturali ai soggetti che svolgono in concreto la funzione giudiziaria. In effetti questa concezione non considera il magistrato una divinità come essere puramente trascendente, bensì attribuisce al soggetto agente nell’esercizio della funzione un certo grado di identificazione tra principio spirituale divino (anima) e aspetto materiale di esseri ed entità. Una forma primordiale di religiosità basata sull’attribuzione di un principio incorporeo e vitale (anima) a fenomeni naturali, esseri viventi e oggetti inanimati, in special modo per tutto ciò che incide direttamente con la vita della popolazione ed è essenziale per la sua sopravvivenza.
Questo culto dell’anima della legalità, semplice, spontaneo, irrazionale, basato sulle esperienze comuni e quotidiane, sarebbe alla base di un’“evoluzione” del pensiero giuridico che avrebbe condotto, di pari passo con la civilizzazione, ad esiti sempre più strutturati, con pratiche sociali ben definite, fino a svilupparsi attorno alla figura del totem della legalità. Il magistrato ricorda l’utile figura dello sciamano sempre pronto nella cura dei problemi umani a giudicare e risolvere il conflitto tra l’uomo e la natura. Il totem dell’indiscutibile applicazione della legge segna il confine tra il trascendente e l’immanente, tra il metafisico e il reale, tra il Medio Evo e il Rinascimento, tra la difesa accanita dello status quo e l’esigenza del rinnovamento radicale di un Sistema Giustizia obsoleto, falso, inadeguato, fonte di corruzione giudiziaria, di ingiustizia totalizzante, di accrescimento di sofferenze e disagi, di potenziamento dell’odio e della rabbia, della cancellazione di gesta solitarie di coraggio e abnegazione, di crescita della conflittualità, di disaffezione verso le istituzioni, di ricorso alla legge del taglione, di giustizia fai da te, di rigetto di ogni forma collettiva di solidarietà e tolleranza. Peraltro, ponendo come postulato l’infallibilità dell’opera del magistrato data in re ipsa, il corpo della magistratura si propone di individuare la natura ultima e assoluta della realtà, al di là delle sue determinazioni relative, attribuendosi un carattere mistico e laico, di tensione verso l’assoluto.
Si afferma e prende forma la figura del magistrato sultano, anche in senso positivo, che tutto può e che è immune da colpe e responsabilità e qualsivoglia denuncia, sanzione o critica viene accolta come pericolosa delegittimazione. L’esercizio di un potere assoluto contro ogni ragionevole dubbio, nonostante evidenze corruttive, deficienze di saperi esecrabili, inadeguatezze manifeste, intollerabili approssimazioni, come pure il pressapochismo. La casta difende il singolo ed il corpo della magistratura invece di espungere il soggetto colpevole, fa quadrato contro ogni possibile censura. Il valore dell’infallibilità del magistrato, l’assenza di ogni consenso per ricoprire il ruolo, la necessaria posizione di autonomia e indipendenza portano alla monarchia giudiziaria del singolo magistrato, che decide in solitudine libero da ogni controllo, portano alla legge di Gresham il Sistema Giustizia. L’organismo giudiziario trattiene le sentenze “buone” e consente che transitino le sentenze “cattive”. Anche noi, sudditi delle decisioni, siamo insultati, offesi, umiliati, tragicamente mortificati, amareggiati per la reiterazione delle ingiustizie, che spingono all’odio, alla reazione uguale e contraria.
Denunce, querele, esposti al Procuratore Generale della Corte di Cassazione, lettere ai presidenti di tribunale, ai Procuratori generali della Repubblica, comunicazioni di ogni tipo a tutti i soggetti che ricoprono cariche pubbliche sono solo carta, senza neppure una risposta di circostanza a dimostrazione che lo scritto è stato letto. Magistrati dopati di una supponenza professionale, di un’arroganza ingiustificata, non trovano più spazio nella rivolta ancora latente che monta nel Paese, anche se i migliori, quelli che sono le eroiche icone della giustizia italiana, autori di imprese epiche contro la criminalità organizzata e la corruzione endemica, provano ad arginare la marea crescente dell’intollerabile ingiustizia in ogni ambito della società italiana, chiedendo rispetto ed appellandosi al garantismo a corrente alternata. Molti cittadini si sentono defraudati e non c’è da biasimarli. Ci sono magistrati trovati positivi più volte alla violazione di norme penali e disciplinari, ma sono rimasti al loro posto o trasferiti ad altra sede con promozione. Per i magistrati anche i giornali fanno eccezioni: la notizia dura un giorno poi cala il silenzio mediatico. Abbassare i toni contro coloro che sono indagati, severità nei confronti di coloro che pensano di essere dei sultani, che non rispondono ad alcuno ed interpretano le norme con troppa personale discrezionalità. Ma soprattutto occorre lavorare con la massima abnegazione e dare risposte convincenti e non decidere in modo frettoloso e superficiale. Il rosario della superbia ha il tempo corto dell’abisso, nel quale la gente italica precipita.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:51