
È ricorrente nell’Italia del XXI secolo (e non solo) l’argomento, ripetuto nelle più varie occasioni, che se un servizio o una funzione pubblica lascia a desiderare, la ragione è che il comportamento dei cittadini non è adeguato: è incivile o illegale e spesso criminale. Per cui ad avere la colpa del disastro pubblico italiano sarebbero i governati, ossia coloro che hanno poco (o punto) potere per ovviarvi, consistendo questo, in gran parte, nel diritto ad eleggere gli organi costituzionali ed amministrativi. Chi ha la sostanza del potere, cioè i governanti (inclusa, s’intende, l’alta burocrazia) è così giustificato: ad essere responsabile non è chi ha la maggiore quota di potere, ma chi ne possiede la più piccola. Argomenti del genere, per essere persuasivi, devono avere un quid di vero: non la verità, ma una piccola parte di essa in modo da confortarne la plausibilità.
Il primo dei quali – e più ripetuto, almeno da quarant’anni, è l’evasione fiscale e la ricetta proposta per ovviarvi dall’establishment: “pagare di meno, pagare tutti”. Anche se negli ultimi anni è meno frequentato, perché una crescente e maggioritaria parte degli italiani è ormai convinta essere tale adagio solo il ritornello che ha scandito il crescente aumento delle imposte a carico di coloro i quali le hanno sempre pagate (o evase meno degli altri). È il lenitivo – o se si vuole la beffa – per far sopportare il danno di pagare di più. Infatti non risulta che i sacrifici dei contribuenti abituali abbiano dissuaso la Fiat dall’espatriare (al fine di giovarsi in Olanda di un regime fiscale più favorevole), né i mafiosi dal non denunciare i redditi delle loro attività; e neppure i piccoli evasori come l’idraulico (o il muratore o l’avvocato) dal proporre ed accettare sconti “senza fattura”; né soprattutto – ed è quel che più conta – indotto i governanti a contenere le spese, spesso esagerate ed ancor più improduttive. L’unico risultato reale è d’aumentare la spinta contributiva (Puviani). Ma fino a quando?
Analogamente, che le città italiane siano in genere più sporche delle altre città europee non è dovuto a sindaci o direttori di aziende ecologiche dai primi nominati: sarebbe colpa dei governati che le sporcano buttando lattine, carte e “lordure varie”. Il fatto che gran parte del pattume è comunque smaltito nei cassonetti e che questi siano svuotati a singhiozzo dagli addetti alla raccolta è diventato marginale. Così la produttività dei dipendenti di molte aziende comunali di trasporto – assai bassa rispetto agli standard di altri Paesi ed anche di altri comuni italiani – è trascurata: il problema alla ribalta è quello dei “portoghesi”, indubbiamente esistente, ma che, rispetto all’altro, è d’importanza (probabilmente) secondaria.
Certo si potrebbe dire – ed è in gran parte così – che tali argomenti sono sempre stati usati da chi ha il potere: è colpa dei governati, dei sudditi, dei diretti: e non dei governanti, dei sovrani, della classe dirigente. Un esempio di ciò è stato il famoso comunicato di Cadorna sulla disfatta di Caporetto, in cui il comandante in capo addebitava la sconfitta ai soldati dallo stesso comandati che erano stati abbondantemente bombardati e gasati e non ad errori dei generali. Spiegazioni del genere hanno un fondo di verità quanto di involontaria comicità: è come se il carabiniere, invece di scomodarsi ad acciuffare il ladro, chiarisse al derubato che la colpa del furto è del delinquente. Magra consolazione per chi paga l’apparato e lo dota di poteri per ottenerne la protezione, la quale, invece, manca. Per una legge (quasi) di natura, chi ha il potere ne porta anche la responsabilità, ma quando le classi dirigenti, i governanti sono decadenti la tentazione di occultare il nesso con argomentazioni improbabili è irrefrenabile: come scriveva Pareto le élite decadenti si servono meno della forza e assai più dell’astuzia: e prevalentemente per turlupinare i governati. Godere dei benefici del potere allontanando l’amaro calice delle responsabilità è l’aspirazione di una dirigenza esausta. E che colpevolizzare i governati sia un’attitudine costante e pericolosa dei dirigenti, anche di quelli futuri (come nelle rivoluzioni) l’aveva già capito secoli fa Hobbes, il quale attribuiva l’autorità dei pastori presbiteriani al predicare contro i peccati sessuali, che, data la diffusione di questi, garantiva l’influenza su larghe masse, tornata utile alla rivoluzione anti-monarchica (e anti-cattolica).
Per cui l’unica risposta saggia ai governanti che stanno sempre col ditino alzato, l’aria grave e la parola pronta a catechizzare i governati è di far lo stesso prima a casa loro, Perché predicare bene e razzolare male è pratica diffusa e chi governa non ne è esente.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:19