Se democrazia significa governo del popolo, cioè un sistema dove il popolo è sovrano, non vi sarebbe dubbio alcuno sulla compatibilità della democrazia con le esigenze di una società di uomini liberi se non addirittura la conditio sine qua non per la sua stessa esistenza.
Ma il popolo non è che un’astrazione, non pensa, non agisce, non decide: sono degli individui, attraverso la macchina statale, a fare ciò. Lo Stato, quindi, trova la sua legittimazione sul predominio della democrazia e non della libertà individuale, e se la libertà pone a suo fondamento l’assenza di costrizione, vuol dire che la democrazia da sola non è sufficiente a risolvere i problemi di una società di uomini liberi: ciò può causare una terribile ambiguità dell’azione dello Stato.
Lo Stato agisce in effetti con la forza, come organizzazione che ha il monopolio della costrizione legale, ma che la costrizione dello Stato sia legale non la rende per questo motivo meno coercitiva. Se poi la democrazia si occupa principalmente del problema di determinare la forma del potere - ed è proprio questo il dramma che, ora più che mai, vediamo svolgersi sotto i nostri occhi - è di tutta evidenza che il carattere democratico del potere statuale non è di per sé condizione sufficiente a garantire l’esistenza di una società di uomini liberi.
Ma lo Stato moderno, lo Stato laico che sorge con la fine delle guerre di religione e la pace di Westfalia, ha, teoricamente, una sua intima e profonda eticità, una eticità che sostiene e anima la legalità, che fa in modo di non ridurre lo Stato di diritto all’esteriore osservanza delle leggi, tentando altresì di renderlo, spogliato così com’è di ogni alone metafisico e teologico, tutt’uno con l’intima coscienza dei cittadini.
La tecno-economia da una parte e il polverio pragmatico dall’altra hanno però causato il dissolversi della vita politica solo nell’apparato produttivo di norme: lo Stato moderno è tramontato, sostituito dallo Stato contemporaneo, che, spoglio di fedi religiose e di miti terreni, tende a identificarsi soltanto con un mostruoso apparato produttivo di norme, garantito dall’uso della forza, che ha il potere di trasformare i diritti individuali in pretesi diritti collettivi, con la conseguenza di una generalizzazione dei conflitti di ciascuno contro tutti, ciò che dà la dimensione apocalittica di un nuovo nichilismo. È appunto questa dimensione che l’attuale monstrum governante sta esasperando, con una sorta di “lotta teologale”, da “nuovi mistici”, contro una presunta ortodossia conservatrice, sbandierando pseudo riforme epocali che in realtà ristagnano solo sul putrido terreno del cinismo e della fatuità.
È un’ambiziosa “istanza superiore”, i cui contorni sono destinati a rimanere del tutto imprecisati, una sorta di “nuova democrazia di massa” quasi a carattere religioso-secolare quella che in maniera ricattatoria si tenta ora di imporre, che si rifà evidentemente ad una concezione neototalitaria del potere “concentrata nel governo”, che, attraverso la struttura di un partito, che si pretende di rappresentare pure come l’unico “Partito della nazione”, è capace di provvedere ad un’opera di totale riorganizzazione interna, sociale e politica, in uno alla costruzione di un nuovo Stato.
Insomma, quasi l’idea di una palingenesi finalmente “rivoluzionaria” della storia italiana quella messa sul terreno di confronto da codesti “illuminati” neogiacobini, in un egotismo frammisto ad un superindividualismo estetizzante. Il tutto in nome di una generazione di “uomini nuovi” giunti da un “lungo viaggio al termine della notte” della Repubblica, chiamati a formulare, in chiave antinomica, quasi un nuovo modello di civiltà in grado di contemperare, allo stesso tempo, le esigenze della comunità nazionale e quelle del singolo individuo: malauguratamente, però, una ricetta magica non esiste e la Storia non è certamente finita.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:15