La vera partita referendaria

La campagna elettorale per il referendum costituzionale ha due facce: una di superficie l’altra di profondità, subliminale. La prima discute il merito della riforma, la seconda invece muove le correnti sotterranee del quadro politico. Una circostanza lo dimostra. La manifestazione indetta, ieri l’altro, da “Italianieuropei”, la Fondazione guidata da Massimo D’Alema e “Magna Carta” che fa capo a Gaetano Quagliariello, ha tracciato il solco di un futuro prossimo della politica italiana. In caso di vittoria del “No”, il prossimo 4 dicembre, e d’inevitabile caduta del Governo Renzi a seguito della sconfitta subìta, nascerebbe una sorta di governo di fine legislatura: è il piano segreto, l’”operazione Overlord”, di Massimo D’Alema. Un azzardo? Non proprio. Troppo astuto il “Líder Máximo” per lanciarsi nel vuoto, alla cieca, senza paracadute.

È chiaro che la sua ricomparsa in scena sia condizionata all’uscita di Matteo Renzi da Palazzo Chigi. Ma non solo. Gli occhi dell’Europa economica e politica sono puntati sull’Italia del referendum. Perciò D’Alema ha dato a intendere di avere pronta una soluzione alternativa di governo che tranquillizzi i partner europei e i mercati sugli esiti del voto. Quando si parla dell’Italia ciò che i governi e gli investitori esteri maggiormente temono è il rischio dell’instabilità politica. D’Alema ne è consapevole e per questo vuole rassicurare gli interlocutori che una vittoria del “No” non ci trascinerebbe nel baratro come invece fanno credere i fautori del “Sì”. Ad appoggiare un nuovo governo vi sarebbe una maggioranza parlamentare sufficientemente ampia. Oltre a un Partito Democratico “derenzizzato”, D’Alema conta di convincere anche il centrodestra a seguirlo tralasciando l’iniziale proposito di insistere sul ricorso alle elezioni anticipate.

D’altro canto, il vuoto giuridico causato da una legge elettorale inapplicabile, nel caso di sopravvivenza dell’organo senatoriale nella configurazione prevista dalla Costituzione vigente, è un argomento destinato ad agevolare il dialogo tra Destra e Sinistra. Ci si appellerebbe al senso di responsabilità istituzionale dei partiti tradizionali per non abbandonare il Paese al caos. Insomma, si tratterebbe di stipulare una tregua di quindici mesi per ripristinare gli equilibri bipolari disinnescando la minaccia Cinque Stelle. Se D’Alema insistesse nel paventare il rischio di un “effetto Roma”, nascosto dietro un precipitoso ritorno alle urne, anche il coriaceo Matteo Salvini sarebbe costretto a rifletterci su prima di sbattere la porta e ritirare le truppe sull’ennesimo, inutile, “Aventino”. Resta il fatto che anche D’Alema, con la sua mossa, ha finito per rimarcare la centralità della destra per superare indenni questo insidioso tornante della storia repubblicana. E dall’altra parte? La pensano allo stesso modo. Prova ne sia il tentativo renziano, ormai alla luce del sole, di lanciare un’Opa su un centrodestra temporaneamente acefalo. Non è un caso che sulla pagina web del Comitato per il “Sì” campeggi il logo del Popolo delle Libertà e se ne citi il programma presentato alle elezioni politiche del 2013 per evidenziarne le similitudini con i principali contenuti dell’attuale riforma costituzionale sottoposta al giudizio degli elettori. Matteo Renzi ha fatto due conti e ha compreso che soltanto recuperando voti dal centrodestra potrà spuntarla. Se vi riesce vince, altrimenti è fregato. E con tutti i nemici che si è fatto nei tre anni di governo vissuti pericolosamente, resterà fuori dai giochi per un bel pezzo. Tutto ciò porta a concludere che i piani dalemiani resteranno sogni nel cassetto se non avranno il sostegno convinto del trio Berlusconi-Salvini-Meloni. Saranno allora due giovani lupi affamati e una vecchia volpe con la pellaccia del leone a salvare il pollaio italiano?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:55