I gruppi armati  non statali nei conflitti

Il 7 e l’8 ottobre si è tenuta a Roma, presso la Scuola Ufficiali Carabinieri, una conferenza di diritto internazionale umanitario dal titolo “Non-State armed groups in International Humanitarian Law” cui hanno preso parte il Presidente della Corte Penale Internazionale e le più alte cariche diplomatiche internazionali. L’evento ha messo a confronto i massimi esperti del settore e si è incentrato sul dibattito giuridico e politico in tema di status degli attori non statali nei conflitti armati. Tema di grande attualità come dimostrano le principali crisi in atto caratterizzate dalla presenza di gruppi combattenti non governativi.

I princìpi fondanti del moderno diritto internazionale umanitario si basano sul modello classico di conduzione del conflitto, nel quale gli eserciti degli Stati regolari si confrontavano sui campi di battaglia. Negli anni la natura dei conflitti è profondamente cambiata e la guerra molto di rado è combattuta secondo regole tradizionali, tra Stati. I protagonisti nei teatri operativi si sono moltiplicati e sono comparsi nuovi attori: non soltanto i ribelli e gli insorti delle guerre civili di un tempo, ma una miriade di gruppi armati organizzati e cellule terroristiche operanti in contesti transfrontalieri ormai globalizzanti.

Il baricentro della realtà internazionale tende ad indirizzarsi verso questi altri soggetti, e la loro comparsa ha sollevato vari interrogativi inerenti, soprattutto, all’opportunità che anche essi siano vincolati al rispetto del diritto umanitario. Non bisogna infatti pensare che i gruppi armati non statali abbiano soltanto fini criminali o terroristici, anche se questi ultimi sono più conosciuti in quanto sovente sono autori di crimini di guerra. Difficile pensare che possano, pertanto, essere rispettosi del diritto umanitario, considerando anche che la maggior parte degli imputati davanti alla Corte Penale Internazionale appartiene a questa categoria.

Oggi nel mondo si contano 42 conflitti in cui sono presenti gruppi armati non convenzionali e molti di essi hanno l’obiettivo di sostituirsi alle istituzioni in quei Paesi dai governi fragili o inesistenti. Essi si pongono, pertanto, come interlocutori della comunità internazionale e sono perfino firmatari di accordi di pace che hanno la valenza di veri e propri trattati internazionali. È ad essi che si rivolgono associazioni non governative quali “Geneva Call” o il Comitato Internazionale della Croce Rossa - presenti al convegno - per un dialogo sul rispetto delle regole.

L’attenzione non poteva quindi ricadere sulla attuale situazione in Siria e a questo ha provveduto Staffan de Mistura, inviato delle Nazioni Unite in quel Paese, il quale ha affermato che in Siria è in corso un “conflitto medievale”, con le città sotto assedio, la popolazione priva di acqua, cibo e beni di prima necessità; “una guerra senza regole”, una spirale di violenza in cui si innesca l’uso di armi vietate, “armi al napalm, bombe al cloro”. Una situazione di estrema gravità che necessita di un intervento in primo luogo “per difendere la gente, il popolo. Non bisogna mai rinunciare ad alzare la voce e ad indicare che una guerra medievale non può continuare per cinque, sei, sette anni. Occorre ricordarsi di quello che la gente in Siria chiede, ovvero stop ai bombardamenti, fornitura di cibo, la possibilità di raggiungere un ospedale”.

In questi ultimi giorni stanno confluendo in Siria sempre più milizie del Nord e la situazione rischia di complicarsi ulteriormente. “È pieno di milizie straniere dall’una e dall’altra parte. Noi abbiamo dovuto semplificare tutto questo. Per l’Onu ci sono solo due gruppi di terroristi, il Daesh e al-Nusra - ha commentato de Mistura - gli altri sono tutti gruppi che combattono da una parte e dall’altra. Quindi chiamare tutti terroristi è sbagliato e diventa difficile districarsi. Non è con i bombardamenti che si può convincere un gruppo o l’altro a cedere, perché in mezzo c’è la popolazione civile. È necessario, invece, fermare ad ogni costo i bombardamenti, la spirale del conflitto, sedersi attorno al tavolo. Noi abbiamo un piano, c’è un piano, ma c’è bisogno di un momento di tranquillità e non di una spirale di guerra”, ha insistito l’inviato delle Nazioni unite.

I lavori hanno consentito di approfondire la natura di altri conflitti, dal Sud Sudan al Mali, dalla Somalia alla Libia, ove sono presenti decine di gruppi armati che si definiscono titolati alle negoziazioni.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:57