
Ormai le reti Mediaset fanno parte dell’impero renziano. Sono incappato in una puntata straordinaria di Forum, condotta dalla ormai insostituibile Barbara Palombelli, moglie dell’ex radicale Francesco Rutelli (allievo prediletto di Marco Pannella), e per quattro ore non si è fatto altro che tessere le lodi di Monica Cirinnà, autrice della recente legge sulle Unioni civili approvata dal Parlamento italiano sostenuto anche da tanti parlamentari eletti proprio per contrastare il progetto tanto caro agli omosessuali.
Ho notato, tra i tantissimi spettatori entusiasti, un sacerdote che legittimamente tentava di sostenere la assoluta improponibilità della parola “matrimonio” per tale tipo di unione. Apriti cielo, non parlare di matrimonio tra persone dello stesso sesso è addirittura quasi blasfemo e l’intervento della Palombelli che sosteneva insieme alla Cirinnà la correttezza del termine da usare per chi volesse unirsi civilmente con una persona dello stesso sesso sarebbe certificato dalla Costituzione attraverso l’interpretazione corretta degli articoli 7 e 29.
Io che sono un vecchio giurista non posso sopportare che la Costituzione - tirata in ballo da chi nel corso degli anni è stata osannata a sproposito ad uso e consumo dei propri interessi politici, ogni giorno che passa sempre più lontani dagli interessi della gran parte del popolo italiano - venga così volgarmente strumentalizzata. L’articolo 7 stabilisce l’indipendenza dello Stato dalla Chiesa, come è giusto che sia; mentre l’articolo 29 in modo chiaro riconosce i diritti della famiglia come società familiare nata dal matrimonio.
Sia ben chiaro, due persone dello stesso sesso possono regolare la loro vita in comune come meglio credono, ecco perché si può parlare di Unione civile ma mai di matrimonio; e la famiglia, intesa come società familiare, non può esistere senza il matrimonio tra un uomo e una donna. Inoltre è il caso di soffermarsi sulla etimologia della espressione “matrimonio” per comprendere il perché i costituenti quando parlano di famiglia usano l’espressione “società familiare”. Il termine si è formato dalla parola latina mater (madre) e dal sostantivo munus (dovere, compito).
Come è mai possibile che si possa consumare un matrimonio se non in presenza di un uomo e di una donna. Quest’ultima, insieme all’uomo, procrea ed entrambi hanno il doveroso compito di sostenere ed assistere la famiglia, appunto nata dal matrimonio civile od ecclesiastico che sia.
Pertanto la Palombelli ed i suoi accoliti si diano una regolata e se ne facciano una ragione. Tutti coloro che hanno in quella trasmissione umiliato il sacerdote brindando alla felicità di due uomini che si sono uniti civilmente ma non in matrimonio non richiamino la Costituzione per giustificare con la parola matrimonio la loro innaturale unione, accontentandosi della esistenza di una legge che disciplina civilmente il loro rapporto. Infine, la Palombelli non dedichi la vittoria della Cirinnà al defunto Pannella, che penso sarebbe stato contento dell’unione tra due persone dello stesso sesso, ma che non l’avrebbe mai definita matrimonio.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:52