
Più rileggo le affermazioni del vice-presidente della Camera dei deputati, Luigi Di Maio, e più non credo ai miei occhi. Sosteneva il giovane (ex?) emergente pentastellato: “È stata usata Roma come un manganello contro il Movimento 5 Stelle. Si è usata la questione della mail per affossare me ed il Movimento 5 Stelle. Ma non ci riusciranno! E spero di portare insieme a tutti gli altri questo movimento al governo dell’Italia”.
Punto primo. Il M5S ha sempre identificato il governo della Capitale come una sorta di prova generale (e finale) prima della conquista del Governo nazionale da parte dei grillini. Viene sicché naturale che gli organi di informazione seguano con attenzione ciò che avviene al Campidoglio. E, se nel Municipio capitolino sono due mesi che è in corso qualcosa di pateticamente inimmaginabile, la responsabilità non è di certo di chi racconta le vicende romane ma di coloro che, di quelle vicende, ne sono i protagonisti. Che, per dirla con Di Maio, vuol dire che i pentastellati si stanno prendendo a manganellate da soli: per inesperienza, per superbia o per incapacità politica che sia.
Punto secondo, questione mail. Come già da più parti osservato, i protagonisti dell’invio di un messaggio di posta elettronica generalmente sono due: chi quella mail la invia (mittente) e chi la riceve (destinatario). Nella fattispecie la mittente si chiama Paola Taverna e il destinatario Luigi Di Maio. Se il contenuto di quel messaggio (come quello di alcuni sms) è finito in pasto ai giornali, o il mittente o il destinatario ne ha reso pubblico il contenuto e quindi o la Taverna o il Di Maio hanno tentato di affossare il vice-presidente della Camera (masochismo?) e tutto il M5S. Il deputato campano faceva forse meglio a glissare sull’argomento anzichè spararle così grosse.
Punto terzo, governo a 5 stelle. Il fatto che a Roma si continui a guardare fuori dal movimento per la scelta degli assessori, costituisce ulteriore tangibile prova che nel M5S - oltre agli urlatori di “onestà, onestà” – siano assai pochi i soggetti con una preparazione tale da poter amministrare alcunché, figurarsi far parte del governo del Paese!
In conclusione, il concetto rimane sempre il medesimo: un conto è protestare e contestare, altra cosa è governare. I primi due comportamenti sono sicuramente più facili/comodi della seconda attività la quale, sia detto per inciso, non è poi davvero alla portata del primo che capita.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:05