Far fallire Ama e Atac  per il riscatto di Roma

Con tutta la buona volontà di Governo, banche e “filantropi” vari risulta davvero poco credibile che si possano ripianare i buchi di bilancio di Atac (23 milioni di euro) e Ama (1,5 miliardi di euro). E siccome il sindaco di Roma, Virginia Raggi, è evidentemente sotto assedio mediatico, politico e giudiziario, sembra che l’unico modo che le permetta di camminare a testa alta sia proprio garantire che vengano portati in tribunale i libri delle due municipalizzate.

Il fallimento delle due aziende farebbe saltare il tappo dalle pentole maleodoranti, situazione comunque destinata ad esplodere. Al sindaco il coraggioso compito di non coprire il passato, bensì di dire ai cittadini della Capitale come stanno le cose. Ovvero che tocca comunque pagare la tassa sui rifiuti, e perché venga garantito lo smaltimento. Senza dimenticare che la tassa (Tari) è dovuta anche in assenza della raccolta ai cassonetti (la vicenda di Napoli aveva già evidenziato quest’aspetto): il ripianamento spetta anche al portafoglio dei residenti, a patto che si blocchi lo spreco dei camion raccolta urbani. Al senso civico dei romani il rispetto del calendario delle “isole ecologiche di competenza”: quindi ogni cittadino dovrà portare i rifiuti umidi e differenziati (plastica, carta e metalli vari) presso le isole ecologiche di zona. Augurandosi che l’amministrazione comunale provveda al ritiro dei rifiuti presso i domicili di invalidi e persone momentaneamente degenti, punendo energicamente chi in mancanza di raccolta non provveda a recapitare i rifiuti all’isola ecologica. Una situazione che dovrebbe durare non più di due anni, il tempo necessario a risanare l’Ama: anche utile a formare una cittadinanza meno strafottente.

La rimozione dei cassonetti da tutto il perimetro urbano probabilmente infastidirà tanti romani, così abituati a gettare comodamente l’immondizia sotto casa: altri prenderanno la cosa come utile sveglia ecologista e risparmiatrice. Stesso discorso per l’Atac; infatti un fallimento dell’azienda pubblica di trasporto permetterebbe che si metta fine ai rivoli di sprechi dovuti al servizio su gomma: di logica conseguenza verrebbe garantito solo il trasporto su rotaia (tram, metropolitane e treni in convenzione con Trenitalia e ferrovie laziali) ed un 20 per cento di quello su gomma. Di quest’ultimo fruirebbero soprattutto veri invalidi e cittadini paganti di zone svantaggiate. Ovviamente il biglietto verrebbe portato a due euro, i controllori avrebbero lavoro facile per i diminuiti vettori: per i portoghesi scatterebbero il fermo con identificazione presso i comandi della polizia municipale e procedure che permettano il pagamento certo delle sanzioni. Il resto della cittadinanza dovrebbe obtorto collo accettare di sortire prima di casa per giungere puntuale ovunque, di camminare tanto e di usare biciclette, motorini, veicoli elettrici o vetture a gas.

Solo una giunta che sappia compiere con fermezza certe scelte può oggi chiedere ai romani di andare a piedi e di portare con i propri mezzi i rifiuti presso le “isole ecologiche”. Siamo arrivati al punto che o si mangia questa minestra o ci si butta dalla finestra. Già due anni fa, nel 2014, era avvenuto il pignoramento all’Atac di circa 77 milioni di euro: atto a seguito di un contenzioso con Roma Tpl, il consorzio di imprese che si era aggiudicato per nove anni il servizio di trasporto nelle zone periferiche ed ultra-periferiche della Città Eterna. Per l’amministrazione capitolina il trasporto pubblico è a rischio da circa otto anni, ma nessuno ha avuto il coraggio politico di ammettere che i vettori vanno fermati. Sotto la passata giunta, quella guidata da Ignazio Marino, ci avevano già fatto sapere che “si investirà la Procura della Repubblica per le valutazioni di competenza e che garantirà le risorse necessarie ad Atac per scongiurare il blocco dell’operatività dell’azienda di trasporto pubblico”. Ma dopo i vari incidenti in metropolitana e bus (è morto un bambino al capolinea Furio Camillo e più di dieci persone sono finite al Pronto soccorso) un solerte funzionario aveva spiegato che “a Roma i trasporti pubblici non sono a normativa europea, soprattutto per sicurezza attiva e passiva ed anche per parametri d’inquinamento e consumo energetico”, ma nessuno ritenne giusto fermare il gioco, lo spreco del trasporto su gomma. Anche solo una ventina di giorni di blocco, che avrebbero certamente appiedato i romani, ma consentito una minima messa in sicurezza.

Intanto si fanno insistenti le voci di un evidente danno alla città, i soldi della messa a norma dei vettori si dice siano stati dirottati verso i lavori della nuova Metro C, poi risultati inutili e gonfiati nei costi. “L’azienda - faceva sapere il Campidoglio in epoca Marino - resiste in giudizio e quindi sarà costretta a rivolgersi in Cassazione”. Si trattava di debiti quasi tutti contratti dal Campidoglio, maturati attraverso una richiesta di “revisione dei prezzi” presentata da Roma Tpl ad Atac, che all’epoca era la stazione appaltante del servizio. Ma per Atac le brutte sorprese non finiscono qui: sono attesi, infatti, nuovi pignoramenti anche a fine 2016 per i vari “lodi” già vinti da Roma Tpl, e per i quali s’attende l’applicazione di oltre una ventina di decreti ingiuntivi: l’importo potrebbe superare nel 2017 i 100 milioni di euro. E non dimentichiamo che il coraggioso Marino non volle fermare il trasporto pubblico per una ventina di giorni, e per una giusta messa a norma, con la scusa che i romani si sarebbero arrabbiati e non lo avrebbero più votato. Ma questa è storia vecchia. È lecito sperare che, cessata la belligeranza interna a Cinque Stelle, il sindaco Raggi trovi la forza d’animo utile a portare in tribunale i libri di Ama e Atac.

Una passeggiata fino all’isola ecologica è ormai utile e necessaria, servirà a tutti, potenti e deboli, ricchi e poveri: la livella si applica anche a chi produce immondizie e aspetta il bus.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:00