
La lunga transazione istituzionale, dopo il golpe mediatico-giudiziario del 1992, ancora continua. Il tutto iniziò con l’abolizione della preferenza unica che i mass media manipolarono, come il rifiuto del sistema proporzionale e da qui la liquidazione per via giudiziaria di chi si poteva opporre alla nascita del “Mattarellum” con i collegi uninominali e la nascita di due schieramenti di destra e sinistra che nella nostra storia non erano mai stati concepiti come obbligo di coalizione per poter vincere.
La situazione istituzionale italiana si contraddistingue nella sua ingovernabilità dovuta alla lacerazione della costituzione di natura proporzionale poggiata sulla forza rappresentativa dei partiti con una legge maggioritaria che obbliga costruire coalizioni manichee per vincere, ma poi diventa impossibile governare per la forte eterogeneità della coalizione. In qualche modo sono più di vent’anni che viviamo il paradosso di Léon Blum: “I socialisti senza i comunisti non vincono, ma i socialisti con i comunisti vincono ma non possono governare”. Questo paradosso ben si addice alla nostra situazione dove per comunisti si devono intendere gli estremisti e gli statalisti di questa prigione ideologica che in modo autoreferenziale si definisce di destra o sinistra, ma nei fatti si tratta di due contenitori vuoti e truffaldini. I francesi questo paradosso lo hanno risolto mediante l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, che ha poteri esecutivi limitati (rispetto agli Usa) e che eventualmente con maggioranza diversa da quella presidenziale si dovrà coabitare.
Per questo giudico la riforma costituzionale di Matteo Renzi inadeguata, nonostante gli sforzi di rinnovamento che in qualche modo sono presenti. Inadeguata perché non risolve il vero problema della governabilità e non affronta lo strapotere della magistratura nelle istituzioni democratiche. La proposta lanciata da Stefano Parisi, quella di una assemblea costituente, che adegui l’architettura costituzionale ai nuovi tempi e alle mancate applicazioni della nostra Costituzione, che coesiste con il governo attuale o altro se si va alle elezioni, mi sembra la scelta migliore per uscire dal pantano istituzionale su cui si è di fatto infranta la Seconda Repubblica.
La proposta di Parisi prevede inoltre, in contemporanea con la legge costituzionale di istituzione della assemblea costituente, l’abolizione del Senato. La scesa in campo di Parisi si muove nel solco della rivoluzione liberale del 1994, sia per la sua formazione politica liberal-socialista, ma anche nell’idea di superare la falsa dicotomia tra destra e sinistra con una visione e divisione negli schieramenti tra autoritari (di cui lo statalismo ne è una attraente e raffinata visione che ne offusca le nefaste conseguenze ) e libertari, così come già George Orwell profetizzava, ma anche in modo diverso, arriva alle stesse conseguenze Carlo Rosselli.
Certamente la strada di Parisi è tutta in salita, ma non credo che ciò lo preoccupi più di tanto, perché la vera battaglia, ancor prima che elettorale, sarà culturale e cioè convincere il Paese che cambiare è possibile davvero, che alle idee che si propongono ci sia coerenza nella pratica, che la classe dirigente che si dovrà costituire sia meglio del passato con un forte rinnovamento di qualità, per dare il senso di un profondo cambiamento che sia di stimolo al ritorno di interesse alla politica dell’elettorato oggi passivo o che ha votato Grillo per cercare di far capire che non ne poteva più dei vari zombi che in questi anni si sono presentati sul palcoscenico della politica.
Diceva Pietro Nenni : “La politica è fatta di idee che camminano sulle gambe degli uomini”, per questo una classe dirigente (oltre ad essere “pluralisticamente omogenea”, per meglio chiarire omogenea nei fini) deve essere coerente con le idee che si propongono, altrimenti assisteremo alla confusione caotica tra un leader che propone un programma che poi a livello locale viene disatteso o sabotato per meri interessi personali di miseria umana. L’esplosione del fenomeno grillino è la certificazione della fine di questa Seconda Repubblica nata con l’inganno e termina, ironia della sorte, con la gloria di un comico e del suo nichilismo. Quando un ciclo politico si chiude automaticamente se ne apre uno nuovo e rendersene conto può essere un’opportunità che la parte più matura e responsabile del Paese, al di fuori degli schieramenti, sappia cogliere il momento per ridare fiducia ad un popolo che si percepisce abbandonato dalla sua classe politica.
Quello che si fa oggi già prefigura il domani, quando si contestò la riforma delle pensioni del primo Governo Berlusconi nel 1994 si posero le basi per la riforma Fornero, quando Cofferati si oppose a D’Alema per la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori si delineò il precariato e la mancanza di futuro per i giovani. Non so cosa farà Renzi dopo il Referendum, ma l’area politica che si era ritrovata intorno a Berlusconi nel 1994, e che pian piano si è messa alla finestra, con Stefano Parisi può tornare a sperare.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:00