Rappresentanza e riforme costituzionali

La riforma Boschi-Renzi della Costituzione conferma come alcuni concetti – secolari – della dottrina dello Stato e del Diritto pubblico siano ancora essenziali per comprendere il senso di ciò che è costituzionale, malgrado spesso trascurati dai giuristi contemporanei, in particolare da quelli di regime. E neppure ricordati, neanche per caso, nel “Titolo” del provvedimento; questo reca “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione dei parlamentari…”; e, per superarlo, all’articolo 1 dispone “Ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione” (riformulando l’articolo 55 della Costituzione) e subito dopo ridimensiona il Senato, il quale “rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti”; nell’articolo 67 (della Costituzione modificata) invece si prescriveva che “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione”.

Tale articolo, riformulato anch’esso, ora si legge così: “I membri del Parlamento esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato”; per cui la rappresentanza nazionale del Senato è venuta meno. Fortunatamente non il divieto di mandato (imperativo). Tale abolizione del carattere di rappresentanza della Nazione – cioè dell’unità politica – va messa in stretta correlazione con la perdita, da parte del Senato, di tutte quelle funzioni, il cui volere (ed effetto) politico è di gran lunga superiore a quello del legiferare, anche se il Senato avesse mantenuto integro il proprio potere legislativo “equiordinato” a quello della Camera (che invece ha, in grande misura, perso). Infatti non ha più né il potere di deliberare lo stato di guerra e conferire al Governo i poteri necessari (articolo 17); né concedere amnistia e indulto (articolo 18); non può, con una eccezione, ratificare i Trattati internazionali (articolo 19); e neppure promuovere, sempre con un’eccezione, inchieste parlamentari (articolo 20). L’articolo 1, IV comma con disposizione decisiva, prescrive che “La Camera dei deputati è titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del Governo”, riservando alla Camera il relativo potere.

Con ciò, in sostanza, il Senato ha perso quello che Maurice Hauriou chiamava “il potere deliberante” notando che avendo il Parlamento una pluralità di funzioni, era riduttivo qualificarlo per una sola di quelle; e che il carattere peculiare di tale potere era prendere risoluzioni collettive (quindi non solo leggi) su soggetti di governo o d’amministrazione, a maggioranza e previa discussione. Da quanto risulta da questa riforma, di oggetti su cui decidere, al di là della limitata partecipazione al processo legislativo, il Senato ne ha pochissimi, riconducibili al carattere rappresentativo delle istituzioni territoriali che gli è riconosciuto. E su tale punto occorre peraltro ricordare la distinzione, che risale a Thomas Hobbes, e la riforma Renzi-Boschi riporta all’attualità. Il filosofo inglese rilevava che il rappresentante politico è colui che rappresenta l’unità e la totalità (dei cittadini); e che bisognava distinguerlo da coloro che rappresentavano solo dei gruppi particolari e che erano incaricati, per l’appunto, di render noto al sovrano, cioè al rappresentante dell’unità, valutazioni e richieste delle articolazioni sociali (contee, città, corporazioni). Il primo è vero rappresentante politico, perché con le sue decisioni (ed azioni) costituisce e garantisce l’esistenza e l’azione della comunità; i secondi rappresentanti solo di istituzioni o di gruppi subordinati. E il Senato della ministra Boschi rientra in quest’ultima categoria.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:05