Boldrini, astratti furori

Laura Boldrini, oltre la media, bella figura, physique du rôle, gesti e simboli da guinness dei primati, icona dichiarante, preoccupazione costante ad alta temperatura verso le donne, ma fatti concreti pochi, forse insufficienti, senza malizia. Belle parole, toccanti, ma nulla più.

È eccellente nell’assolvere l’incarico di portavoce dell’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Unhcr), per il quale è stata responsabile dell’ufficio stampa italiano e coordinatrice delle attività di informazione nei paesi del Sud Europa. Nell’ambito del suo ruolo, tra le altre cose, prende parte ad iniziative pubbliche sulle tematiche relative al diritto d’asilo, ai flussi migratori nel Mediterraneo e alle emergenze internazionali, tiene conferenze e partecipa a seminari presso università e istituti di ricerca. Svolge missioni in diversi luoghi di crisi: Bosnia, Albania, Kosovo, Pakistan, Afghanistan, Sudan, Angola, Iran, Giordania, Tanzania, Burundi, Ruanda, Sri Lanka, Siria, Malawi, Yemen. Se fosse istituito un ministero per la migrazione sarebbe certamente la migliore ministra che potrebbe scegliersi.

Coprire la terza carica dello Stato è compito diverso. Il presidente della Camera dei deputati rappresenta tutti i cittadini italiani non solo sul piano legislativo. È la figura di riferimento di tutti i reali problemi dei cittadini della Repubblica, in quanto posta all’apice della rappresentanza del popolo italiano. Sul piano sostanziale, forse più importante del presidente della Repubblica e del presidente del Senato. Non è una critica felice, è scritta con dolore. Sono molti i presìdi della cosiddetta democrazia: luoghi, sedi, organismi, figure istituzionali dove arrivano gli appelli, le proteste, le suppliche, gli inviti a risolvere situazioni di pericolo, di disagio, disuguaglianze, richieste di protezione, segnalazione di veri e propri delitti contro gli ultimi, gli indifesi, la parte più debole della collettività, i bambini, le donne.

Lo Stato è disastrato in ogni suo segmento, ma non possiamo girarci dall’altra parte di fronte alla sofferenza delle vittime di torture, violenze, offese alla reputazione, di ripetute prevaricazioni, di abusi, minacce. I richiami al bene comune a chi si rivolgono? Al vento, al futuro indefinito, ad un astratto Stato, a non meglio identificate istituzioni, ad altri poveri e diseredati, ai negletti figli di un dio minore? A chi se non a coloro che sono stati eletti per rappresentare il popolo sovrano, a coloro che si trovano al vertice della scala gerarchica degli organi dello Stato repubblicano.

Non sembra che la bella e splendente icona della presidentessa Boldrini abbia interamente compreso il forte messaggio del Santo Padre Francesco. Il Papa sa di predicare, ma invita quelli che possono a fare, fare, fare. La competenza della presidentessa è totale, generale, non ha bisogno di codici e regolamenti. Spazia in ogni ambito, è in ogni luogo del territorio italiano, penetra in ogni istituzione, agisce e vigila su chiunque possa prendere decisioni per ordinare azioni ed imporre comportamenti. Ogni suo intervento può avere effetti speciali che hanno la genetica capacità di espansione a vasto raggio, per la semplice ragione che si pongono come modello di riferimento, un monito per coloro che deflettono dalle regole o le applicano secondo personali e discrezionali interpretazioni, opinioni. Per il giusto come per coloro che violano.

Nessuno potrebbe censurare un suo intervento, una sua azione. Lei, la presidentessa, rappresenta la regola universale, è il capo dove si fabbricano le norme che disciplinano la vita dello Stato e dei cittadini. Non esiste margine al conflitto di competenze. Basta la sua parola, un suo gesto, un suo richiamo per riportare i reprobi al dovere etico di servitori dello Stato.

Lei, ma anche noi tutti, non possiamo volgere lo sguardo dall’altra parte di fronte all’ingiustizia della violenza, alla tortura di donne e bambini, all’abuso di coloro che detengono un certo potere, all’inerzia di coloro che dovrebbero agire per contratto con lo Stato, a coloro che hanno l’obbligo di dare l’esempio più alto. I simboli dell’azione vengono calpestati da verbose ed ovvie dichiarazioni, che perdono di significato mentre vince l’ipocrisia e l’indifferenza. Il risultato dell’utilità dell’inutile, come sostiene l’antropologa Ida Magli, recentemente scomparsa, “combattere contro l’“ovvio” è una battaglia al tempo stesso assurda, per l’evidenza di ciò che dice, e disperata per la sua inutilità”. Così come è ovvio che la confessione dei propri comportamenti negativi, la redenzione dal peccato è evento raro, quasi impossibile, come tutti sanno. L’orrore delle morti per femminicidio consegna alle statistiche più decessi di quelli causati dai terroristi nelle città europee.

Va onestamente segnalato che non può esserci tutela e soprattutto prevenzione se dalla raccolta della denuncia al termine della filiera procedurale la decisione finale, quella esecutiva, quella che consente di adottare delle misure cautelari resta nella esclusiva competenza del magistrato. La colpevole immobilità, l’omissione dovuta all’inerzia, alla indifferenza, alla supponenza colpevole di quei magistrati, i quali dovrebbero intervenire con immediatezza, come prescrive la legge; la inescusabile sottovalutazione, gli errori di previsione, consente di fare astrazione dei suoi caratteri specifici per inserirli in un discorso “universale”, sistemico, indebitato nei confronti del lessico giuridico e della sintassi dell’azione penale obbligatoria, ricca di immagini pregnanti e allusive. Il resoconto di viaggio tra la disperazione della ingiusta sofferenza, del dolore del corpo e dell’anima, si trasforma così in un racconto allegorico, in cui ogni donna assume una funzione che la trascende. I racconti orribili delle donne abusate e maltrattate destano un’esperienza rivelatrice, perché la vista della sofferenza delle donne rassegnate e indifese suscita una riflessione sull’intero genere umano. Queste donne rappresentano il “mondo offeso”, cioè la parte di umanità che viene quotidianamente oppressa e che affronta con rassegnazione il proprio destino. Il bagno di sangue delle donne trucidate confligge con l’azione giurisdizionale dovuta ad una rigidità ordinamentale e alla concreta impossibilità di condizionare, controllare, verificare l’agire del singolo magistrato, caratterizzato da autonomia ed indipendenza, che sovente si traduce in forme di irresponsabilità e inettitudine, senza alcuna effettiva possibilità sanzionatoria.

L’Italia è governata dalla monarchia giudiziaria dove la somma di 10mila sultani, alcuni illuminati, stakanovisti, irreprensibili, eccellenti, eroi silenziosi, altri meno ed altri da licenziare senza preavviso costituiscono la forma di un governo operativo che concretamente decide della realtà democratica, consegnata all’amministrazione della giustizia.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 16:59