
Il ministro Dario Franceschini, nel corso della direzione del Partito Democratico, ha chiesto di rivedere l’Italicum subito dopo l’esito del referendum, come se il funzionamento del Governo (forma di governo) e il sistema elettorale fossero due questioni distinte, separabili, indipendenti l’una dall’altra. Neanche per sogno. È giusto che gli elettori al referendum di ottobre siano messi al corrente prima sul sistema elettorale della Camera. Infatti, la riforma della Costituzione rafforza il ruolo del Governo, ma il Governo è più o meno forte a seconda di quanto premiante è il sistema elettorale.
Matteo Renzi è irremovibile sulle richieste di modifica dell’Italicum, che fioccano da tutte le parti, partendo dal presupposto che, se si semplifica il sistema dei partiti, premiandone soprattutto uno, il più votato, si mettono le basi per un Governo solidissimo, sorretto da una maggioranza coesa. Non fa una grinza l’assunto. Renzi guarda a Westminster, ma Westminster non è Montecitorio e la Gran Bretagna non è l’Italia. Da noi poi non ci sono solo wighs e tories, ma anche gli “onesti” grillini, gli euroscettici salviniani, i cespugli della sinistra: un emiciclo molto più articolato.
Se Renzi pensa di torcere il sistema politico italiano usando il grimaldello del sistema elettorale, per fini di semplificazione della partitocrazia, fa un grande errore. È vero che con il sistema elettorale si può implementare la formazione di una maggioranza, ma non c’è solo la maggioranza, perché i partiti hanno anche il compito di rappresentare le diversità di una comunità. L’Italia, poi, non è la Gran Bretagna. Non ha l’identità nazionale e l’omogeneità propria della Gran Bretagna. La testarda irremovibilità di Renzi sul punto aggrava le accuse, pretestuose, di “autoritarismo” della riforma costituzionale. Queste rischiano infatti di trovare conferma proprio, e soprattutto, nei personali comportamenti “autoritari” del segretario del Pd.
La modifica dell’Italicum, con l’introduzione del premio di maggioranza alla coalizione, indebolirebbe invece il tentativo di confondere i giusti obiettivi di rafforzamento del Governo con le ingiustificate accuse di “autoritarismo” della riforma costituzionale. Il premio di maggioranza alla coalizione va introdotto anche per un’altra ragione. I “populisti” hanno alzato i toni identitari, al fine di attrarre le passioni del corpo elettorale più distante dalla vita della politica. Per questo hanno accentuato le differenze e marcato nuove distinzioni, quando invece servirebbe proprio il contrario: maggiore inclusione. Del resto, lo richiede l’eccezionalità del momento, i rischi connessi al terrorismo, l’inarrestabile fenomeno delle migrazioni di massa, la Brexit.
Dal 1946 l’Italia ha avuto un sistema elettorale iperproporzionale, per conseguire le esigenze inclusive del dopoguerra, caratterizzato dalla rigida contrapposizione tra comunisti e democristiani. Dopo il 1989, l’accettazione condivisa del modello democratico e liberale ha consentito l’introduzione del maggioritario e l’avvio della democrazia dell’alternanza, secondo lo schema classico della contrapposizione destra/sinistra. Adesso, l’affermazione prorompente del Movimento 5 Stelle, assieme alla radicalizzazione delle posizioni della Lega, stanno facendo regredire quel poco di bipartitismo che si è costruito.
A giudicare dai programmi elettorali conosciuti, si confrontano quattro offerte elettorali, facenti capo a quattro differenti partiti. Il premio di maggioranza a uno solo di questi finirebbe per discriminare la stragrande maggioranza degli elettori che hanno optato per i partiti perdenti. Il risultato non è sopportabile per un Paese diviso e disomogeneo come il nostro. Se Renzi vuole vincere il referendum metta subito mano all’Italicum, prima della celebrazione del referendum. Lo può fare perché la maggioranza è vasta e aspetta soltanto un suo cenno. Fortunatamente i nostri costituenti, con lungimiranza, non hanno costituzionalizzato le regole elettorali, come qualcuno minaccia di fare, stando ai pericolosi programmi del M5S.
Il sistema elettorale va rimesso in sintonia con i recenti mutamenti del sistema politico, subito. Non si tratta di inseguire le ragioni opportunistiche di qualcuno o di contrastare le pretese dei nuovi arrivati. C’è solo da compiere una scelta oggettiva per l’equilibrio del sistema. In caso contrario, la critica, falsa, di “autoritarismo”, che viene avanzata nei confronti della riforma costituzionale, prenderà corpo e porterà il variegato fronte del “No” a vincere il referendum, rinviando per l’ennesima volta una serie di modifiche costituzionali che servono.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:03