
Altro che deriva autoritaria, la democrazia è in pericolo: attacco alla Costituzione, no al referendum costituzionale ed edificazione di muri verso chi implora accoglienza, in Italia abbiamo la deriva giudiziaria. Non si tratta di garantire agli indagati corrette e rapide indagini preliminari o agli imputati un giusto processo, è in pericolo la salute e la vita delle persone offese; le torture che vengono procurate ad un bambino, la malvagia responsabilità di coloro che hanno omesso di prevenire e che hanno negligentemente trascurato il loro dovere. Non è possibile tacere sulla gravissima disattenzione, sottovalutazione, imperizia, negligenza di molti magistrati, in particolare pubblici ministeri che chiamati a svolgere indagini a seguito di segnalazioni, denunce o querele di donne violentate, percosse, perseguitate, oppresse e torturate (fisicamente e psicologicamente) svolgono il loro compito con superficialità, imprecisione, sciatteria. Non si può dire?
Io lo dico, forte e chiaro, e pongo questa domanda: se dopo varie denunce e querele rimaste senza esito una madre di famiglia viene uccisa con ventiquattro coltellate, quale sanzione irroghiamo al magistrato disattento, imprevidente e irresponsabile che non ha indagato, che ha sottovalutato e che ha rimandato il suo compito? Nessuna. “Rien de rien”. E allora io vi dico che quel magistrato dovrebbe avere la coscienza morale di licenziarsi, di dimettersi dagli incarichi di inquirente e di riciclarsi come commesso o, meglio, andare a dedicarsi ad un altro mestiere. Oggi, a Roma, nel pieno della campagna elettorale amministrativa per la città che muore, un bambino viene sistematicamente torturato non tanto dal padre, potenziale squilibrato femminicida, ma da quei soggetti giuridico-istituzionali che dovrebbero tutelarlo, salvaguardare la sua salute, proteggere la sua delicata condizione psicologica con amore e delicata comprensione. Servitori dello Stato indegni di appartenere al genere umano hanno sfregiato l’anima di un bambino per coprire incomprensibilmente le condotte penali del padre.
La deplorevole insipienza del giudicante invita a farsi giustizia da soli. In questo caso non significa ritenere che l’unica giustizia valida sia quella indicata dal proprio senso della morale, che, peraltro, non è sostanzialmente sempre contro la legge. Difendersi, invece, è tutt’altra cosa: la giustizia in questo caso non entra nel computo, dato che difendere sé stessi non è “giusto” quanto “un diritto fondamentale e inalienabile. Essere difesi dallo Stato dovrebbe essere un nostro diritto sancito dalla legge, ma attualmente non avviene quasi mai. Le cortigiane del giudice minorile si sono uniformate alle criminali posizioni del curatore speciale (l’avvocato difensore del minore), nominato dal giudice amico, che ha copiato le posizioni del difensore del padre, malvagio persecutore dell’ex coniuge, per infliggere al minore sofferenze inaudite, sottoponendolo a privazioni e torture che ricordano, con le dovute proporzioni di tempo e di luogo, quelle della Shoah.
Il curatore speciale è il più spietato accusatore del minore e parimenti della mite mamma, che subisce da cinque anni le più vili prepotenze, maltrattamenti e violente aggressioni da colui che dovrebbe essere il padre del minore. Le torture non hanno colore e sono tanto più disumane quanto più vengono perpetrate in nome del bene del bambino. Una pratica quotidiana della violenza nei confronti di un minore, fine a se stessa e volta quindi unicamente alla creazione di dolore. Frutto della follia collettiva di tutto quel ricco mondo di mezzo che alligna nei tribunali minorili, un business migliore di mafia capitale, che fortunatamente dopo decenni dovrebbero essere cancellati. Questi terroristi di uno sistema giustizia fallimentare, irresponsabili e corrotti, usano il loro potere non per ridurre alla ragione un potenziale “mostro” vinto da una assurda gelosia, che non ha dato esito alla sperimentata scena finale solo perché ripetutamente denunciato, ma per torturare un bambino di dieci anni che dall’età di sei e sottoposto alle più atroci sofferenze, perché manifesta una legittima paura del padre, che da anni violenta ed aggredisce la moglie prima ed ora legalmente separata.
Ha sopportato per anni umiliazioni, offese; ha subito maltrattamenti, ingiurie, violenze e privazioni; ha perdonato le feroci intemperanze; ha evitato di esprimere le sue ragioni per il bene supremo della famiglia e dei figli; ha vinto la sfiducia nell’uomo che ha scelto di stare, sperando in un futuro migliore. Ha supplito alle carenze del padrone- compagno-marito- fidanzato, cercando di convincerlo con delicatezza che l’amore è donare e non imporre, concedere e non chiedere, offrire e non domandare, in libertà e non in dittatura. Ha sussurrato che il potere di decidere ė duale e non unilaterale, ma la propensione del suo uomo al comando assoluto in famiglia è scritta nella genetica dei maschi ed è dura a finire; dopo la separazione ha deciso di fargliela pagare “ fino alla morte” ed è stato di parola. Gli autori delle morti delle donne sono il simbolo della irrinunciabilità al potere, della mancata abiura al dolore procurato; è l’uomo della pietra e della fionda, come dice il poeta. La insufficiente agnizione del maligno genera la profondità del dolore, non di quello esistenziale, ma di quello causato dalla malvagità dell’altro, di colui che dichiara di aver amato. L’insubordinazione di coloro che per tradizione erano subordinati, scatena l’odio e quella incontrollata violenza che appare alla coscienza senza ragione, ma che è scritta negli archetipi dell’uomo, quel cosiddetto male di cui parla Lorenz.
Tuttavia, talora accade che la malvagità si tinge del colore della legge, gravata da una lettura disattenta con rilievi di assenze inaudite e con decisioni che feriscono le vittime. Il mondo esteriore si presenta con contorni poco nitidi ed il mondo morale, quello del dovrebbe essere, appare posticcio e nemico dei fatti, assolutore ingiusto dei comportamenti criminali di coloro che dovrebbero avere la responsabilità della protezione, della cura dei propri cari, del fare amoroso, privo di odio, risentimento e prevaricazioni. La suggestione dell’annuncio di principi e diritti allontana dalla puntuale verifica dei fatti. Un dominio dell’ovvio, infecondo, che può produrre ingiustizia. Affermazioni di ideali lontani dalla realtà, mentre le vittime registrano nel loro barometro spirituale il trionfo dell’ingiustizia e nell’osservatorio del pensiero potranno annotare la conquista di sofferenze e dolori per il privilegio di essere unite all’altro o per avere un padre, per vivere un futuro cupo e solitario. Il tiranno perde il suo potere ed attua la sua vendetta, come le quotidiane morti per femminicidio insegnano.
Una condizione primordiale legata alla natura, perenne, senza spazio e senza tempo, obbligata verso lo spirito universale ripete l’unione dell’uomo con la donna. Una condizione costretta a progredire verso l’ideale migliore, tendente all’assoluto, scritta nei libri sacri, nei principi e nelle regole dell’uomo. Esistono saperi per pochi, mentre i comportamenti di molti infrangono la legge naturale universale: il diritto a vivere. Quando sono in gioco la natura e la vita, l’anatema, la maledizione grava innegabilmente sull’uomo colpevole di feroci violenze, come pure di misere illegittime ragioni, conquistate con favorevoli interpretazioni delle leggi. Un falso urlato amore infecondo e senza speranza, irresponsabile ed incoerente, che offende le parole del Signore “ama il prossimo tuo come te stesso”. L’unione tra una lei ed un lui è equiparabile all’arte; l’ispirazione soggettiva si sottomette ad una specie di patto etico, ossia un accordo temporaneo alla vita, un “ sacramento” del rispetto dell’accoglimento e della difesa delle esigenze dell’altro che si fonda sulla carne e sul sangue, capace di rinunce e privazioni, così come la madre per i figli.
Una virtù umana che nega precari diritti e genera la felicità del sacrificio. L’uomo senza la dignità del dovere, della felicità del sacrificio è un disertore della disciplina della moralità vitale, un baccante dell’odio e della morte. Sono in possesso non solo di documenti e testimonianze, che sovente il magistrato non legge e non ascolta, ma di registrazioni del grido di dolore del bambino, che saranno inviate a tutti coloro che hanno la volontà di sapere.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:22