Accogliere l’invasione No, grazie!

La tragedia dei migranti afro-asiatici che si riversano nel nostro Paese, territorio di frontiera dell’Europa e che in crescente proporzione perdono la vita nella traversata del Mediterraneo con mezzi inadeguati, sta assumendo proporzioni gigantesche e si sta colorando di un’ipocrisia da far ribrezzo.

Dico subito che l’ultima cosa che vorrei è che il mio pensiero in proposito potesse essere scambiato nel voler portar acqua al mulino dello sciovinismo e del razzismo. Ma credo fermamente che respingere ogni perplessità con i luoghi comuni, dichiarando che si tratta di gretto razzismo è stupido oltre che ipocrita ed è assolutamente intollerabile. Credo che non si possa parlare seriamente ed onestamente di questa tragedia senza prendere atto che c’è un confine tra l’apertura alle immigrazioni e lo spalancare le porte ad una invasione. Ad un certo punto la quantità, il numero, trasformano l’immigrazione in una invasione. Non si tratta di accettare o respingere il carattere “multietnico” del nostro Paese. O, almeno, non è di questo che si tratta. Quando Mussolini, allineandosi al suo compare nazista, tirò fuori la “razza italiana”, raggiunse il primato delle molte spocchiose assurdità del suo regime. Ma una cosa è il razzismo, con le sue terribili implicazioni e conseguenze, altra cosa è l’esistenza di un popolo, con la sua identità, le sue caratteristiche, il suo territorio e le sue esigenze di vita. Se si vuole parlare di “Popolo italiano”, di Nazione italiana, non si deve acconsentire a travasi di popolazione che, nel giro di qualche generazione, ne cambino volto, storia, costumi, esigenze di vita.

Né si dica che gli italiani sono stati, fino a poco più di un secolo fa, trasmigratori, il cui ceppo costituisce la metà della Nazione Argentina e rappresenta negli Usa una delle comunità di maggiori dimensioni. Quelli erano Paesi che chiedevano immigrazioni (finché lo riteneva opportuno) per ovviare ad indiscutibili situazioni di spopolamento.

D’altra parte, se si dovesse accettare integralmente e coerentemente il precetto che Papa Francesco, e non solo lui né solo i Vescovi ci raccomandano, quello di un’”accoglienza” dei popoli (che di popoli interi si tratta) che versano in condizioni drammatiche, non si vede perché dovremmo condizionare tale dovere al fatto che quei poveretti debbano rischiare la vita, facendola perdere ad una impressionante percentuale della loro massa che intraprende la traversata del mare in condizioni semisuicide per dar loro asilo. Dovremmo mandare navi passeggeri a Tripoli, Tobruk e negli altri porti africani e del vicino Oriente per imbarcarli, senza che debbano morirne in numero crescente per “giustificare” il compimento di questo dovere di accoglienza da parte nostra. Oltretutto credo che costerebbe anche meno che andare a recuperare in mare i superstiti di periodici massacri.

Di fronte ad una predicazione di un’indiscriminata “accoglienza”, in base a principi esclusivamente morali e moralistici, nei quali non è impossibile trovare notazione di ipocrisia, non basta la risposta, tipica di un personaggio come Angelino Alfano: “Non c’è più posto”. L’Europa, l’Italia non è un campo profughi (magari gestito da qualche “Misericordia” Etrusca). I limiti che i governi dei popoli europei e l’Europa nel suo complesso hanno il dovere, più che il diritto di opporre ad un flusso che diventa invasione, non sono quelli di una “capienza”, del resto difficilmente calcolabile.

Certo, finché ci sarà gente che rischia la vita nei nostri mari la sola idea di lasciarli affogare è delitto. Ma, a ben vedere, il delitto è non intervenire sulle coste africane, con la forza se necessario, per impedire che partano quei carichi di disperazione e di morte. Ed intervenire dietro le coste, nei Paesi che ci riversano addosso quei disperati. Spendendo quel che si spende per un’inconcludente “accoglienza”, si potrebbe, con una razionale e saggia politica europea, evitare o far diminuire assai le ragioni della disperazione e della fuga. Ma piantiamola con le prediche ipocrite, con i gesti spettacolari di Papa Francesco della “famiglia portata in salvo”, “girata”, poi, regolarmente all’Italia. Ragionare non è poi così difficile.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:56