Referendum, Machiavelli e la coerenza dei partiti

Sono stati pubblicati i nomi di alcuni personaggi politici di primo piano che, nel 2006, si sono pronunciati per il “no” alla modifica della Costituzione proposta da Bossi e Berlusconi. Tra questi, oltre all’attuale Presidente della Repubblica, c’erano anche Walter Veltroni, Franco Bassanini, Anna Finocchiaro, Luciano Violante, Gennaro Migliore, Enrico Morando. Presidente del comitato del “No” era Oscar Luigi Scalfaro. La parola d’ordine era netta: “Salviamo la Costituzione”.

Di fronte a questo perentorio grido di allarme, il 61,3 per cento degli italiani ha bocciato le modifiche costituzionali. Solo il 38,7 per cento ha detto “Sì”. Romano Prodi governante, allora a capo del suo secondo Governo, si spese in prima persona contro i rischio “autoritario” che la riforma nascondeva. “In difesa” della Costituzione erano schierati anche gran parte dei movimenti cattolici (chi non ricorda i “Cristiani per la Costituzione”?), la Cgil e la maggior parte dei costituzionalisti. Personalmente ho votato a favore della riforma del 2006. Per coerenza voterò anche la riforma del 2016 che, per tanti aspetti, è simile alla precedente.

Non si può pretendere che la coerenza sia una categoria applicabile anche alla politica, tuttavia, nel referendum del prossimo ottobre, le teorie di Machiavelli potrebbero anche essere smentite ed ingenerare effetti imprevedibili. Nel 2006 lo schieramento del “No” alla riforma era molto omogeneo e compatto. Salvando la Costituzione - si diceva - salveremo anche la democrazia rappresentativa, contro i rischi dell’autoritarismo insiti nel governo del Premier. Nonostante il tema delle riforme istituzionali sia poco adatto ad evocare emozioni, nel 2006 la mobilitazione della sinistra riuscì ugualmente nell’impresa, evocando l’autoritarismo.

È ipotizzabile, oggi come ieri che, a parti invertite, il centrodestra possa sventolare lo stesso rischio dell’“autoritarismo”? A sentire le prime uscite di Silvio Berlusconi pare proprio di sì. Quanto questo argomento sia spendibile, però, è un’altra cosa, soprattutto se usato da chi, nel 2006, ha proposto una riforma analoga, e poi, durante il periodo del Nazareno, ha concorso ad elaborare il testo oggi sottoposto a referendum. Nel 2006 la sinistra mandò due messaggi chiari: no al rischio autoritarismo del governo, sì al primato del Parlamento. Il messaggio è arrivato e ha convinto una grande maggioranza di italiani. Può oggi Berlusconi, con lo stesso argomento, conseguire lo stesso risultato? Non pare proprio, perché l’implicito messaggio che contiene: “conserviamo l’esistente”, smentisce la sua storia personale e l’idea che la destra, ma non soltanto, ha della cultura di governo.

Risale a Bettino Craxi, sicuramente uomo non di destra, la battuta secondo cui, nel corso del suo primo governo, negli anni Ottanta, una volta entrato a Palazzo Chigi, aveva trovato la stanza dei bottoni, ma non i “bottoni”. Intendeva dire che l’Esecutivo era carente degli strumenti idonei a governare. Da allora, tutte le commissioni bicamerali, da quella presieduta dall’onorevole Bozzi in avanti, hanno sempre riproposto lo stesso tema: togliere potere ai partiti per restituirlo al popolo e alle istituzioni, a partire dal Governo. Come può oggi la destra motivare convincentemente la sua ostilità al rafforzamento dell’Esecutivo e alla stabilizzazione delle maggioranze parlamentari? Non gli sarà facile, perché si tratta di una posizione incoerente con la sua storia. Diventerà addirittura impossibile, quando le ragioni del “No” saranno coerentemente declinate, fino in fondo, da parte della sinistra antirenziana e dal Movimento 5 Stelle che, già oggi, sventolano il vessillo della difesa della democrazia rappresentativa e della partecipazione, contro il rafforzamento del governo. A quel punto il disorientamento dell’elettorato di destra sarà completo, a tutto vantaggio del fronte del “Sì”, che potrà tentare d’intercettare anche alcuni consensi dell’elettorato moderato. Un bel risultato questo, per chi si propone di ricostituire un soggetto politico di centrodestra con vocazioni di governo. A quel punto non resterà che buttarla in politica, secondo le regole consuete.

In altri tempi, nel gennaio del 1947, dopo il ritorno di De Gasperi dal viaggio negli Stati Uniti, la sinistra, che pur sosteneva con la Democrazia Cristiana un governo di unità nazionale, fu sospinta all’opposizione. Nonostante lo schiaffo, democristiani, socialisti e comunisti continuarono a collaborare tra loro nella stesura del Testo della Costituzione, con un atteggiamento di strabismo politico e costituzionale che li vedeva uniti e divisi allo stesso tempo. Oggi un simile atteggiamento dei partiti italiani, nell’assumere analoghi comportamenti “ragionati”, ha dell’impossibile (solo nella terra della democrazia, la Gran Bretagna, questo è ancora possibile con Jeremy Corbyn). Resta tuttavia la domanda se, per caso, il popolo italiano non avesse meritato, tanto nel 2006 come nel 2016, lo stesso tipo di comportamenti coerenti.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 16:33