Un buco nero  nella riforma bugiarda

Io non credo che, dopo il “Documento dei 48” e dopo il fulminante saggio- appello di Pasquino vi sia necessità di “aggiungere” altri argomenti per dimostrare che la “riforma costituzionale” sia, non solo da respingere, ma da buttar via come assurda e pericolosa.

Non è necessario ma è sicuramente utile soprattutto per portare, magari, una concreta analisi in ambienti diversi. Cominciamo col dire che la “riforma” è concepita in base ad approssimazioni e con il dichiarato intento di lusingare i luoghi comuni dell’antipolitica” ed il sentito dire delle discussioni da bar di periferia, senza nemmeno tener fede a questo intendimento, perché con le sue ambiguità, finisce solo a “gettar polvere negli occhi”.

Il professor Pasquino ricorda che il punto nodale, quello della semisoppressione del Senato fu presentato da Renzi come necessario “per risparmiare le indennità dei senatori, che, in quanto amministratori di Regioni e Comuni “erano già pagati” in quanto tali. Motivazione, intanto, incredibilmente indecente ed oscena per una riforma di un punto nodale di ogni Costituzione, la struttura ed il ruolo del Parlamento, indegno di un presidente del Consiglio.

Osceno ma anche bugiardo, perché Regioni e Comuni dovrebbero pagare assai di più per le “trasferte a Roma” di presidenti, sindaci e consiglieri- senatori. La cosiddetta riforma Boschi-Renzi è piena di disposizioni dirette a soddisfare e, soprattutto a far finta di soddisfare, intenti di bassa demagogia. La promessa sbandierata da Renzi e dai suoi sostenitori di voler “semplificare”, “snellire”, “accelerare” il procedimento legislativo abolendo il “bicameralismo perfetto” è contraddetto dal dato di fatto, rilevato e sottolineato di Pasquino, che il sistema parlamentare bicamerale italiano ha prodotto assai più leggi di quante ne siano state approvate in Paesi che hanno un Parlamento con una sola Camera.

Il bicameralismo, discutibile fin che si vuole, non è, però comunque sopprimibile a metà e confusamente come ha fatto la cosiddetta riforma. Esso è insopportabile per Renzi solo perché in Senato, non ha una maggioranza “facile” e netta come alla Camera. Motivo in sé stesso fuorviante ed inconcepibile. Ma, poiché siamo venuti a parlare di questa strana semisoppressione, di questo “depotenziamento” del Senato che è al centro della riforma, perché il Parlamento è espressione fondamentale, insostituibile del carattere democratico di uno Stato, oltre ad essere bugiardo, rappresenta un autentico buco nero nella riforma.

Dopo aver affermato che il Senato è composto di amministratori di Regioni e Comuni e, quindi dopo averne fatto una sorta di dieta dei poteri locali, la cosiddetta riforma non dice come e da chi dovrebbero scegliersi i Comuni “titolari” di un seggio in Senato, né specifica come dovrebbe essere assicurata la rappresentanza di tutte le Regioni. Si introduce, quindi, una sorta di norme costituzionali in bianco, che dovrebbe, poi essere “riempita” e supplita da leggi ordinarie. Né è sostenibile che si tratterebbe di questione da affidare ad una legge elettorale, in quanto tale, da farsi, appunto, con legge ordinaria come quelle per l’elezione della Camera dei deputati. Il sistema escogitato per questo posticcio Senato comporta non già l’espressione del corpo elettorale, ma il rapporto tra lo Stato ed enti locali che è, come tale, indiscutibilmente materia costituzionale.

È questa della formazione non specificata del Senato, assieme all’incerta interpretazione di quelli che, dovrebbero essere le sue competenze legislative, questione centrale che condanna irrimediabilmente tutta la riforma, non potendosi ovviamente “compensare” un difetto inconcepibilmente grave della forma dell’istituzione parlamentare con altri supposti “meriti” della riforma. Altre volte ho fatto ricorso al paragone di un’auto con parti buone e, magari, tecnicamente avanzate, ma con uno o due pezzi essenziali del motore rotti o inefficienti: l’auto non cammina e sarebbe inutile affermare che “però è bella e ci sono pezzi del motore di prima qualità”. Non cammina.

Così la Repubblica, colpita dalla devastazione del suo sistema parlamentare, e non solo di quello, non “camminerebbe” ed il caos istituzionale ne determinerebbe la paralisi o, altrimenti, un funzionamento affidato alla mera discrezionalità del Governo. Si vuole, dunque, fare a meno delle regole costituzionali per affidarsi alla discrezionalità di un Renzi o di qualsiasi altro capopartito? Sarebbe la fine della democrazia e delle libere istituzioni, cui rispondiamo “No”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:53