
Nel periodo di massimo fulgore dell’era berlusconiana gli oppositori del Cavaliere hanno usato abbondantemente l’epiteto di “populista” nei suoi confronti, o meglio contro di lui, per descrivere un modo “anomalo” (si diceva) di governare il Paese e di rivolgersi al popolo. Oggi i populisti sembrano dilatarsi. Sono stati inclusi nella schiera anche Grillo, Salvini e Renzi.
La questione merita qualche approfondimento, non tanto per richiamare al corretto uso un’espressione troppo spesso abusata, o mal usata, quanto perché ingenerare nell’opinione pubblica il convincimento che “populismo” è sinonimo di autoritarismo, può causare effetti distorsivi per chi cerca di orientarsi nella babele dei linguaggi elettorali.
È sicuramente autoritario il populismo di quei governanti che immaginano il loro popolo come un’entità univoca ed indifferenziata. In questo caso, l’idea dell’unicità del popolo autorizza, anzi impone, che il leader sia una persona sola al comando, per rappresentare al meglio il popolo nella sua integralità. Il popolo non è frazionabile, è uno. Uno deve essere anche il capo che lo guida. Qui siamo completamente immersi un regime di tipo autoritario, dove il governo monocefalo prende il sopravvento su una società inesistente, svuotandola di ogni carattere di originalità (pluralità). Non è questo il caso italiano.
Non si può definire populista, in senso proprio, chi semplicemente sa parlare all’opinione pubblica (alla sua pancia) e sa farsi intendere, instaurando, in vari modi, un rapporto immediato, diretto, con gli elettori. Questa è solo la regola della democrazia rappresentativa, anche se non sempre “aurea”.
Tra questi due estremi, che descrivono opposti e inconciliabili regimi politici, uno non democratico e l’altro democratico, ci sono diversi modi in cui si manifestano i “populismi” nostrani, diversi e differenziati, ma mai autoritari. Sono populisti, innanzitutto, alcuni dogmi proclamati dal Movimento Cinque Stelle, quando rivendica il ruolo d’interprete unico e fedele della volontà dei “cittadini”, in una specie d’identificazione ideale che vorrebbe far coincidere la “cittadinanza” con il Movimento. In questo progetto, i parlamentari pentastellati, rifiutando il divieto del mandato imperativo ma sottostando alla subordinazione a Grillo e al suo direttorio, si autoproclamano unici rappresentanti di chi li ha eletti, dichiarando di voler rispondere - salvo eccezioni - solo ad essi. In questo modo esaltando la propria identità, finiscono per negare ogni diversa identità di patria-nazione, mortificano però lo stesso ruolo del Parlamento, un corpo estraneo rispetto al circuito privilegiato Popolo-cittadinanza-M5S.
Sono populiste anche le posizioni della Lega quando osteggia ogni processo migratorio. Dinanzi alla dimensione globale dei problemi, l’erezione di barriere sempre più militarizzate verso l’esterno, evoca infatti diffuse sensazioni popolari, protettive, sia dei beni materiali che abbiamo conseguito, sia dei simboli della roccaforte in cui vogliamo vivere (fattori identitari, appartenenze culturali, sentimenti nazionali e territoriali).
Anche Renzi, per l’attenzione esasperata che dedica nel curare l’impatto della gestione della sua azione di governo nei confronti degli italiani, si colloca tra coloro che inseguono quotidianamente un rapporto personale, immediato e diretto, con il popolo. Per questo è populista? Si può definire populista in senso proprio quel sistema di governo in cui, tra il Governo (o il capo del Governo) e il popolo non c’è niente, c’è il vuoto istituzionale. Il corpo elettorale elegge il capo, lo legittima con l’evento elettorale, ma esaurisce lì tutti i poteri di controllo e di garanzia. Non esiste, soprattutto, oppure esiste ma è inefficace, un sistema di contrapposti poteri in grado di frenare, correggere, sanzionare, contenere, circoscrivere, contaminare l’operato del Governo.
Un governo di questo tipo, privo di poteri “intermedi”, per il solo fatto di sottostare all’elezione popolare, non può da solo connotare il sistema della democrazia. Questa è stata la situazione di tanti Paesi dell’America Latina fino a pochi anni fa. È la situazione attuale del Venezuela. È la costante di tanti regimi autocratici in giro per il mondo, dove ogni magistratura, ogni corte, ogni autorità indipendente, ogni organo di controllo di costituzionalità, di decentramento politico ed amministrativo, tutto, è sottoposto al potere, all’influenza, all’interferenza o alla dipendenza dal potere esecutivo.
Questa non è la situazione italiana, fuori da ogni demagogia. I comportamenti di singoli uomini politici, partiti e movimenti, possono essere definiti, per comodità, populisti. Questo tipo di apparente “populismo” non è però sinonimo di autoritarismo. Da noi, anche dopo l’approvazione della recente riforma costituzionale, la vita del Governo sarà sempre dipendente dalla volontà del Parlamento. La magistratura continuerà a godere di forme di autonomia e di autogoverno tra le più estese al mondo. La Corte costituzionale continuerà a disporre di vasti poteri correttivi dell’attività parlamentare. La sovranità popolare continuerà ad esprimersi, in modi liberi ed autonomi, in tutte le regioni legislative e negli enti locali. Il referendum consentirà di sanzionare il potere legislativo. Non sarà l’introduzione del Premierato della riforma Boschi a cambiare i caratteri della nostra democrazia.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:04