Le vittime della guerra dei “Cinque Stelle”

La guerra interna ai Cinque Stelle, che nell’attuale fase vede schierati da una parte Federico Pizzarotti, sindaco di Parma “avvisato” dalla magistratura, e il direttorio grillino dall’altra, è soltanto all’inizio ma già ha fatto le prime vittime.

Il primo e più ingombrante cadavere lasciato sul campo è quello della trasparenza, da sempre refrain della propaganda pentastellata. Accanto al corpo esanime della trasparenza giace, devastato da strazianti conati, quello del giustizialismo, altra vittima illustre della guerra in atto. Non è che la cosa dispiaccia. Era ora che la si finisse con la leggenda metropolitana dei “puri più puri”. La politica, come asseriva Rino Formica, socialista di robusta tempra meridionale, è “sangue e merda”. A farla ci si sporca le mani, perché il bene collettivo va ricercato ovunque si trovi, quando è necessario anche nel letame. Di buono c’è che le baruffe grilline incrinano il diritto della categoria della morale alla continua invasione di campo nei domini della cosa pubblica. Il grillismo incarna la degenerazione della politica che, nel tempo storico della “Seconda Repubblica”, ha abdicato al dovere di essere rappresentazione leale e coerente di interessi collettivi concorrenti, rinunciando al compito di governare la complessità di una società articolata sulla base di bisogni e di aspirazioni naturalmente ineguali. La politica ha lasciato ad altri poteri, come ad esempio quello dei magistrati innalzati al rango di custodi dell’etica repubblicana, la responsabilità di riformulare la categoria concettuale di bene comune, provocando un vulnus democratico. Essa ha smesso di essere progetto visibile per divenire oggetto di trasparenza. Visibilità versus Trasparenza. Ad un valore forte se ne è preferito uno debole che ha tolto e non dato alla comunità maggiore certezza di giustizia perequativa. Ma la trasparenza elevata a sistema si è fatta fonte di opacità.

Spieghiamo perché. In chi la propugna vi sarebbe l’intenzione di mostrare al cittadino la cosa pubblica alla stregua di una “casa di vetro” – l’espressione è di Norberto Bobbio – postulando che tra l’osservatore e l’oggetto osservato non vi debba essere null’altro. Invece, come dimostra la guerra intestina di queste ore tra i Cinque Stelle, non è vero che quello spazio sia vuoto. È vero che non vi è niente che si possa osservare ad occhio nudo ma, come ben conoscono coloro che s’intendono di yoga e medicina ayurvedica, nello spazio che si interpone tra l’osservatore e l’osservato vi è un mondo di “corpi sottili” che esistono, a prescindere dal fatto che siano o meno percettibili all’organo della vista. Ed è proprio negli interstizi “sottili” della politica che si annidano i comportamenti autoritari e antidemocratici.

In nome della trasparenza il “direttorio” grillino sospende il “suo” sindaco. Di Maio e gli altri dicono: Pizzarotti non ha rispettato i regolamenti. Ma quali? Dove sono? Chi li ha scritti e chi li ha approvati? Non è dato sapere. Essi invocano regole che vengono piegate in base alle circostanze e alle convenienze. Valgono per Pizzarotti ma non per i sindaci grillini di Livorno e di Pomezia. Chi lo dice? Giudica e irroga sanzioni un anonimo “staff del Movimento”, i cui componenti sono segreti come i Superiori Incogniti di una conventicola settecentesca. Le “regole alla carta” invocate da Luigi Di Maio, leader in pectore dei Cinque Stelle e i diktat dello “Staff” sono la materia sottile che si frappone tra l’osservatore e l’oggetto osservato nell’universo trasparente della politica infiltrata dal moralismo. È il medesimo fenomeno ottico di rifrazione della realtà che si generò tra il popolo dell’Unione Sovietica e il Politburo del Pcus ai tempi dello stalinismo. C’è più spirito dei Berija e dei Vyšinskij in quelli del direttorio grillino di quanto s’immagini. Attenti italiani, c’è il germe della dittatura dietro gli sguardi innocenti di quei bravi ragazzi a Cinque Stelle.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:58