
“A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro... che ti epura”. Lo disse Pietro Nenni ma andrebbe ripetuto, ogni giorno, alle giovani marmotte del Movimento Cinque Stelle a mo’ di lezione di alta politica.
Dalle cronache apprendiamo che anche il pentastellato sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, è finito sotto la lente della magistratura. Pizzarotti risulta indagato, insieme al suo assessore alla Cultura Laura Ferraris e a tre componenti del Teatro Regio di Parma, per il reato di abuso d’ufficio. L’indagine avviata dalla Procura della città emiliana riguarderebbe sospette irregolarità nella nomina di Anna Maria Meo all’incarico di direttore del prestigioso teatro e nella scelta di Barbara Minghetti a consulente per lo sviluppo e i progetti speciali nell’ambito del medesimo ente lirico. Gli inquirenti hanno iniziato ad indagare dopo una denuncia presentata dal senatore Giorgio Pagliari (Pd), il quale accusava apertamente l’assessora Ferraris di aver esercitato pesanti pressioni sul CdA del “Regio” allo scopo di orientare la scelta delle nuove figure manageriali verso candidati graditi all’amministrazione, anche se meno dotati dal punto di vista curricolare rispetto ad altri pretendenti. L’inchiesta ora dovrà accertare se vi siano state anomalie o comportamenti illeciti nella procedura di assegnazione degli incarichi.
Dunque, niente di particolarmente scabroso sotto il cielo della politica, se non fosse che il cielo dei grillini non è lo stesso di quello dei comuni mortali. In questi ultimi anni gli orfani di Casaleggio hanno lucrato voti e simpatie degli italiani sbandierando la trasparenza come caposaldo della loro partecipazione alla vita civile e istituzionale del Paese. Hanno intonato con monotona ripetitività il canto salmodiale dell’onestà, come se si trattasse di un magico passepartout per la soluzione di tutti i problemi. Invece, hanno mostrato soltanto di capirci poco della realtà che ha molte sfumature oltre il bianco o il nero ammessi nel loro ristretto iride. Hanno promesso al mondo che mai uno dei loro, se solo sfiorato dal sospetto di un comportamento meno che irreprensibile, sarebbe rimasto al suo posto. Parola d’ordine del movimento: dimissioni subito al primo stormir di foglia. Poi però è cominciato a soffiare il vento delle inchieste. Da Quarto a Livorno, fino a Parma, il vento si è fatto tempesta ma le foglie sono rimaste attaccate ai rami, come deretani incollati alle poltrone. Allora quelli di “onestà! onestà!”, cantilenata al funerale del criptico padre-padrone, scoprono che anche l’illibatezza nell’amministrazione della cosa pubblica può essere declinata. Scoprono che si può essere, in quanto diversamente onesti, “diversamente indagati”. Una stupidaggine pari solo al loro infantilismo politico.
La verità che sta imparando a sua spese la compagnia dei giovani del teatro di Beppe Grillo è che le parole sono una cosa e gli atti amministrativi un’altra. Ciò che li accomuna è che su entrambi si può inciampare. Con questo non vogliamo minimamente insinuare che i vari Nogarin e Pizzarotti siano dei manigoldi. A loro va tutta intera la solidarietà dei garantisti. Ci preme solo osservare che fare professione di onestà non è sufficiente per dimostrare di possedere le abilità e le competenze necessarie per amministrare una comunità, a prescindere da quanto essa sia ampia o numerosa. Si tratti di un paesino di montagna o della Capitale d’Italia, fa lo stesso. Gli elettori delle prossime amministrative farebbero cosa saggia a valutare con attenzione a chi affidare il mandato a governarli.
Onesti o no, virtuosi o no, quel che è certo è che questi Cinque Stelle sono dei pasticcioni. E, in talune circostanze, gli incapaci possono rivelarsi ben più pericolosi dei furbi e delle vecchie volpi del sottobosco politico. Un voto non ragionato è un voto buttato via. Non sarebbe meglio evitare sprechi?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:01