
Si dirà che Bolzano non è Roma. È lontana. È città di frontiera: dentro e fuori. Ragion per cui non dovrebbe fare testo per il quadro politico nazionale, eppure ciò che è venuto fuori dalle urne della scorsa domenica offre qualche spunto di riflessione.
A Bolzano si è tornati a votare per le Comunali dopo appena un anno dall’ultima consultazione amministrativa. Il responso per chi sarà sindaco è rinviato al ballottaggio tra Renzo Caramaschi del Partito Democratico, che ha ottenuto il 22,32 per cento dei voti, e Mario Tagnin, appoggiato da Forza Italia, Lega e movimenti civici locali, che ha raccolto il 18,39 per cento. Alle loro spalle gli altri 11 candidati. A cominciare da Christoph Baur della Svp, che si è fermato al 15,95 per cento. Il centrodestra, dunque, riesce ad andare in sfida con il rappresentante del Pd. Tuttavia, Forza Italia e Lega, schierate insieme, hanno ottenuto un risultato per entrambe deludente. Il partito di Berlusconi ha raccolto un modesto 7,6 per cento, peraltro da condividere con le formazioni minori presenti in lista.
Per gli ottimisti che vedono sempre il bicchiere mezzo pieno non si tratterebbe di una débâcle se messa a confronto con il dato delle elezioni comunali dello scorso anno che consegnava Forza Italia ad un umiliante 3,6 per cento. Va peggio alla Lega che arretra al 9 per cento, con un calo di più di due punti rispetto al 2015. Fratelli d’Italia, che ha scelto di correre in solitario con il suo candidato Giorgio Holzmann, ha raggiunto il 4,83 per cento. Decisamente un successo se si considera che il partito di Giorgia Meloni, un anno fa, aveva raccolto il 2,10 per cento.
Per gli amanti delle somme algebriche, un centrodestra totalmente unito avrebbe agevolmente piazzato la prora davanti all’armo del Pd. Sarebbe dunque confermato l’assioma per cui: uniti si passa, divisi si arretra. Ma da Bolzano giungono due dati che potrebbero minare questa certezza: CasaPound ha raccolto un significativo 6,21 per cento; il Movimento Cinque Stelle cresce di ben 3 punti, attestandosi al 12,07 per cento rispetto al 9,73 del 2015. Se si aggiungono anche i voti raccolti dalla lista della destra protestataria di etnia austriaca, si ottiene che oltre il 20 per cento degli elettori di Bolzano ha votato contro il sistema dei partiti tradizionali. Perché ciò accade e, soprattutto, può capitare altrove? Queste performance non dovrebbero stupire se si ha il polso della quotidianità. La gente è spaventata per le molte crisi che si sommano e non vede chiarezza d’intenti nelle iniziative del governo e neppure nelle proposte delle opposizioni tradizionali. Sul piatto non c’è solo la questione dell’accoglienza degli immigrati o le statistiche sulla diffusione della percezione d’insicurezza sociale. C’è la crisi economica e occupazionale a tenere banco contro le menzognere dichiarazioni del premier su un’Italia che è ripartita e altri bla-bla- bla del medesimo tenore.
Quanto è successo a Bolzano non va sottovalutato: potrebbe ripetersi anche in altre città, dove la presenza di forze antisistema è molto più strutturata rispetto al contesto altoatesino. L’unico rimedio efficace contro la radicalizzazione a destra del consenso è il varo, nel centrodestra, di un programma realistico che tenga in massima considerazione la condizione di disagio in cui versa buona parte di quegli italiani che non sono stati messi al riparo dagli effetti delle politiche asfittiche dell’austerity finanziaria, imposte dall’Europa. I leader della coalizione devono ritrovare il sangue freddo per comprendere quanto sia pericoloso il tornante della storia che l’Italia ha davanti. Dividersi ora non serve a nessuno. Soprattutto non serve all’Italia. Farsi tentare dall’esplorare territori incogniti non è bello come ai tempi di sir David Livingstone. E neppure è avventuroso: ci si perde e basta.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:02