Carta del Robespierre de’ noantri

Il grillino Alessandro Di Battista, che si sta proponendo da tempo come l’intransigente Robespierre de’ noantri, ha presentato alla stampa la cosiddetta carta dell’onestà. Dal quel che si è potuto capire, si tratterebbe di una raccolta delle principali tesi del Movimento Cinque Stelle per combattere la corruzione, con l’intento - ovviamente propagandistico - di farle accogliere dal Governo Renzi.

Tra le tante cose inserite in questa sorta di manifesto della pubblica moralità troviamo l’interruzione della prescrizione per i rinviati a giudizio, il Daspo per i corrotti della Pubblica amministrazione e per le aziende private coinvolte in casi di corruzione, l’istituzione della figura dell’agente provocatore e persino l’estensione della confisca dei beni prevista per i mafiosi ai reati di evasione. Ma al di là questi e altri edificanti proponimenti, che secondo Di Battista sarebbero ispirati a puro buon senso, personalmente l’idea di contrastare l’italica corruzione aggiungendo altre norme alla nostra labirintica legislazione penale mi sembra un tantino delirante.

D’altro canto, non ci possiamo aspettare qualcosa di diverso da una formazione politica che sta contribuendo in modo sinistro a rinverdire i “fasti” di quel clima manettaro che abbiamo vissuto durante il crollo della Prima Repubblica. Da questo punto di vista, Di Battista e il M5S incarnano ancora oggi quella stessa frustrazione che una parte della popolazione italiana nutriva ai tempi “gloriosi” del lancio delle monetine contro Bettino Craxi. Una frustrazione comprensibile ma fondata su presupposti del tutto erronei, almeno per chi guarda il mondo con il laico disincanto di una visione liberale.

In breve, come ho già avuto l’opportunità di scrivere su queste pagine, i grillini stanno dando legittima rappresentanza ai più arrabbiati di coloro i quali si aspettano dalla politica ogni beneficio. Essi immaginano, nella loro elementare ingenuità, che il Governo e l’intera Pubblica amministrazione operino in luoghi nei quali, azionando leve e firmando decreti a mitraglia, si producono risorse in abbondanza, si creano posti di lavoro ad libitum e si distribuiscono pasti gratis senza limitazioni. Tutto questo, però, a condizione che i vari manovratori al timone siano selezionati da una classe di integerrimi e, per l’appunto, onestissimi servitori del popolo.

In altri termini, per questa gente se sul piano generale le cose vanno male ciò dipende essenzialmente da un alto tasso di disonestà nella classe di Governo. A costoro non passa neppure per l’anticamera del cervello il sospetto secondo cui la citata, abnorme corruzione potrebbe rappresentare solo l’effetto collaterale di altri e ben più complessi fattori, tra cui proprio la presenza di un’eccessiva intrusività della politica in ogni ambito della società. Una politica che controlla e spende circa il 55 per cento del reddito nazionale, soprattutto in un Paese culturalmente frammentato come il nostro, oltre a determinare inevitabili fenomeni di malaffare, costituisce essa stessa il problema. E la soluzione non può certamente passare per una moralizzazione forcaiola di un sistema pubblico che spende troppo e male, che regolamenta troppo e male e che sottopone l’economia ad un feroce livello di tassazione.

I grillini come Di Battista non sono neppure sfiorati dal pensiero che forse si potrebbe quantomeno attenuare il fenomeno in oggetto riducendo le smisurate competenze di una politica e di una burocrazia che da decenni fallisce regolarmente tutti i suoi obiettivi, tranne quello di depredare i contribuenti attivi di questo Paese. Non ci vuole il Governo dei puri caro Di Battista, ma solo un Governo che governi il meno possibile.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:59