L’Unesco e le botteghe dei centri storici

Un disegno di legge presentato in Senato rivaluterà le tradizioni dei centri storici italiani.

Come si preserva un centro storico? Non è necessario che sia una famosa città d’arte l’oggetto delle nostre preoccupazioni. Anzi, a ben vedere, le città d’arte sono il risultato di un territorio nel quale la cultura è sparsa: borgo dopo borgo, paese dopo paese, cittadina dopo cittadina, le strade confluiscono verso i grandi centri storici, attraversando Pienza, Macerata, Matera, Alberobello, Bassano, Erice... solo per ricordare, così come vengono alla mente, alcuni dei migliaia di centri italiani nei quali la cultura la fa da padrona di casa. È ovvio che ogni muro, ogni pietra si valorizzi e si conservi attraverso la presenza dell’uomo e delle sue attività.

Pietre e muri nacquero “fra” e “per” i commerci e l’artigianato. La conservazione di quei manufatti, anzi la loro vita futura, si garantisce solo se l’attività dell’uomo nel loro intorno non solo sarà rispettosa, ma proseguirà sulle orme tracciate dai fondatori. In altre parole, rispettare l’antico solo per conservarlo è un’attività banalmente ristretta alla monumentistica cimiteriale. Alle città invece occorre una vita proseguita e progredita nello stile e nella forza che le fondò. Così va letta e applicata la Convenzione Unesco sul Patrimonio dell’Umanità, secondo la senatrice Rosa Maria Di Giorgi, promotrice di una legge applicativa della Convenzione.

La Convenzione, firmata a Parigi nel novembre del 1972, ha lo scopo di identificare e proteggere particolari siti che nel mondo rappresentino un’eccezionale importanza dal punto di vista culturale o naturale. I beni individuati possono essere opere di architettura, di scultura o di pittura ma anche paesaggi naturali con valore universale dal punto di vista della conservazione della diversità biologica o della bellezza naturale. Come specificato all’articolo 1 della Convenzione, il Patrimonio mondiale viene considerato come “inestimabile e insostituibile non solo per ogni nazione , ma per l’intera umanità”.

L’Italia è la nazione che detiene il maggior numero di siti iscritti nella speciale lista dei patrimoni dell’umanità (51), seguita dalla Cina (48) e dalla Spagna (44). La particolarità per l’Italia è che molti siti sono costituiti dall’intero centro storico di una città e non da singoli monumenti: Roma, Firenze, Napoli, Vicenza, Venezia sono considerate patrimonio dell’umanità nella loro interezza e dovrebbero preservare sia la loro straordinaria ricchezza monumentale che quella fitta rete di valori culturali legati alle tradizioni, agli usi e ai costumi come l’artigianato e le caratteristiche botteghe dei borghi antichi. Non vi è al momento una legge che impone le severe condizioni di integrità previste dal Regolamento operativo dell’Unesco e neppure un rigoroso modello gestionale volto ad assicurare la dovuta tutela. È invece necessario che vengano considerati i modi con cui l’uomo interagisce con i beni protetti e si pervenga ad un giusto equilibrio da mantenere tra i due. Nel caso dei centri storici, questa dimensione di equilibrio deve essere perseguita tenendo conto della profonda interdipendenza tra la dimensione materiale e quella immateriale, in modo da tutelare sia le mura che il modello di vita all’interno delle stesse.

Per tentare di colmare tale vuoto normativo è venuto in soccorso un disegno di legge presentato la scorsa settimana dalla senatrice Di Giorgi, che reca “misure per la tutela e la fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale posti sotto la tutela dell’Unesco”. L’iniziativa parlamentare consentirà alle Regioni e agli enti locali di emettere adeguati regolamenti che assicurino la congruenza delle attività commerciali con l’identità del tessuto storico e culturale in tutte le aree soggette a particolare tutela. In poche parole, limiterà il principio generale di libertà incontrollata di apertura di nuovi esercizi commerciali.

Finalmente si avrà la consapevolezza che avere 51siti inseriti nella lista Unesco non costituisce solo motivo di vanto, ma impone responsabilità gravose e si giungerà a comprendere che un caffè storico, una bottega alimentari e un’attività artigianale costituiscono l’identità di un territorio e sono patrimonio che va ben oltre i meri fini commerciali.

La senatrice Di Giorgi è convinta che la sua legge sarà approvata entro la fine dell’anno. Speriamolo tutti, forse sarà la fine dei minimarket con luci psichedeliche vicino al Pantheon e dei mega-cartelloni policromatici pubblicizzanti kebab nei luoghi più tradizionali della nostra storia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:50