Comune di Roma: non chiamatele elezioni

A Roma Silvio Berlusconi (e forse Francesco Storace) appoggerà la candidatura a sindaco di Alfio Marchini.

Guido Bertolaso, esonerato manco fosse Mihajlovic da allenatore del Milan, pare si sia fatto da parte dietro consiglio del Cavaliere il quale gli avrebbe promesso un ruolo di primo piano nella eventuale Giunta Marchini. Adesso sono tutti lì a rinfacciarsi le colpe: Matteo Salvini, il quale aveva scelto attraverso le Gazebarie della Lega proprio il candidato civico, rinfaccia a Berlusconi la scelta di appoggiare Marchini invece di convergere su Giorgia Meloni. Berlusconi, il quale ha cambiato mille volte idea negli ultimi mesi strattonato da mille suggeritori, rinfaccia al duo lepenista i tanti veti utili solo a spaccare il centrodestra. La Meloni, la quale aveva declinato gli inviti ad un impegno diretto nelle Comunali facendosi fotografare al lavoro con Bertolaso in segno di appoggio verso la candidatura dell’ex Capo della Protezione civile, ha disinvoltamente cambiato idea imponendo di fatto il proprio nome con un meccanismo del tipo “prendere o lasciare”. Il tutto condito da una serie di attacchi personali di cattivo gusto che hanno avuto come unico output quello di esporre la coalizione a una figura barbina creando una divergenza difficilmente sanabile in futuro. Ciò a patto che il centrodestra sopravviva e che ci sia quindi qualcosa da sanare.

Sensibilità politiche a parte, c’è una grande e trasversale ipocrisia in questa manovra, facilmente visibile a chi non è nato da piedi e con la sveglia al collo. Chiunque abbia un minimo di sale in zucca capirà facilmente che con una legge elettorale a doppio turno - indipendentemente dalla bontà del candidato - l’unica precondizione per aspirare alla vittoria è quella di presentarsi uniti puntando ad arrivare al ballottaggio. Ovviamente a condizione che i partiti in campo abbiano un minimo di percezione della realtà e non siano convinti di essere elettoralmente autosufficienti. Dato che i leader del centrodestra non hanno mai dichiarato di essere Napoleone Bonaparte e non sembrano quindi necessitare di un urgente trattamento sanitario obbligatorio, verrebbe da chiedersi cosa ci sia in gioco di tanto succulento da indurli a consegnare Roma prima ancora di combattere. Qualcuno come Salvini evoca un redivivo Patto del Nazareno ed un presunto accordo di desistenza tra Berlusconi e Renzi che in cambio assicurerebbe al Cavaliere il blocco di tutte quelle leggi potenzialmente nocive per il Gruppo Mediaset. Noi che non siamo in grado di leggere il futuro ma di interpretare il presente crediamo che, quand’anche ciò fosse tecnicamente possibile, restituirebbe una visione quantomeno parziale della vicenda spiegando il comportamento di Forza Italia ma non quello del duo Meloni-Salvini.

Diciamo che è in atto un’Opa ostile sul centrodestra e che il duo in questione (legittimamente, per carità) ha approfittato della debolezza innegabile di Berlusconi in questo frangente per sferrare l’attacco finale nel tentativo di imporsi come forza trainante del centrodestra dopo vent’anni di subalternità allo strapotere forzista. Il tentativo non era quello di mettersi in proprio, ma di trasformare il padrone di sempre in garzone di bottega imponendogli scelte alle quali ritenevano si sarebbe alla fine piegato per non scomparire definitivamente nell’irrilevanza elettorale. Il tutto cercando di traslare l’operazione compiuta su Roma in un quadro più squisitamente nazionale. Come a dire: da una parte c’è il fronte egemonico che appoggia la Meloni, dall’altra c’è Marchini su cui poniamo il veto per non allargare la platea dei contendenti o eventuali assi che rafforzino Forza Italia e residualmente c’è Berlusconi che, schiacciato, sarà costretto a venirci dietro se non vorrà morire politicamente abbracciato alla salma di Bertolaso.

Sullo sfondo il Comune di Roma, che in questa vicenda funge solo da triste panorama deturpato dall’incuria di chi non se n’è occupato prima e dalle ambizioni di chi approfitta di una partita amministrativa per raggiungere obiettivi ultronei rispetto alle sorti della città. Adesso la temuta prova di forza a destra è dietro l’angolo e chi prenderà un voto in più avrà ipotecato la leadership nazionale: non conta vincere ma arrivare una spanna sopra all’avversario interno, dimostrandone l’inconsistenza e magari perdendo onorevolmente al ballottaggio.

Solo che Berlusconi non si è fatto trovare pronto a farsi sbranare perché, aderendo al progetto di Marchini (per la prima volta si è dovuto piegare a scegliere e non ad essere scelto), ha di fatto lasciato intendere che un risultato migliore rispetto al duo lepenista proietterebbe automaticamente il costruttore romano alla guida del centrodestra come suo successore designato. Berlusconi ha abdicato ed è stato costretto a farlo per una questione di onore, per non farsi insolentire e trattare pubblicamente come un vecchio rimbambito ostinato a non schiodarsi da una leadership nella quale crede ormai solo lui. L’unica consolazione è che, se vincesse Marchini, Berlusconi lascerebbe avendo per l’ennesima volta determinato le vicende del suo campo. Tralasciando le rivendicazioni, noi non crediamo che in questa vicenda il torto e la ragione siano nettamente da una parte piuttosto che dall’altra: sono due visioni di centrodestra alternative che hanno pari dignità e ragion d’essere. D’altronde i passaggi di testimone alla guida dei partiti (o delle coalizioni) non sono mai senza strappi e aspri scontri. Adesso la palla è in mano ai cittadini che, attraverso questo voto amministrativo, saranno chiamati a scegliere anche il centrodestra di domani. Tutto ciò è scandaloso o immorale? No, questa operazione è assolutamente in linea con le ragioni della politica. Ma non chiamatele elezioni amministrative e non veniteci a parlare del bene dei romani.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:50