
Cosa c’è andato a fare Matteo Renzi a Napoli? Se pensate che la sua visita sia stata motivata da un sussulto di coscienza siete fuori strada. La questione del recupero dell’area dell’ex-Italsider è stato un pretesto. Il piatto forte non era la partecipazione del Premier alla cabina di regia che dovrebbe avviare la bonifica e con essa il recupero del sito industriale dismesso da trent’anni: quella è propaganda.
L’annuncio dei 272 milioni di euro da spendere per risanare l’area poteva darlo anche restando comodamente seduto in poltrona a Palazzo Chigi. Neppure c’era da fare passerella visto che era del tutto prevedibile che il sindaco Luigi de Magistris gli avrebbe scatenato contro i mastini della protesta. È nell’agenda degli impegni pomeridiani del Presidente del Consiflio che bisogna cercare per scoprire che ieri l’altro Napoli, per qualche ora, si è trasformata nella “Canossa” del renzismo. Il “decisionista” Matteo, quello che non guarda in faccia a nessuno, è andato col cappello in mano a prostrarsi a don Antonio Bassolino. Non che non ce lo aspettassimo, era ovvio che sarebbe accaduto.
Dopo lo sfregio delle primarie taroccate grazie alle quali “l’orchestra dei giovani del Nazareno” pensava di averle suonate al vecchio cacicco, la cruda realtà dei numeri ha avuto la meglio e Renzi ha dovuto, suo malgrado, prenderne atto: senza i voti di Bassolino, la candidata del Partito Democratico Valeria Valente neanche ci va al ballottaggio. Da qui la richiesta di udienza a don Antonio, che lo attendeva al varco. Ma cosa si saranno detti i due? Facile a immaginarsi: la vecchia volpe, che non ha mai concesso agli avversari il piacere di consegnarsi alla pellicceria, ha dettato le sue condizioni per salvare la soldatina Valente. Probabilmente, Bassolino gli ha chiesto carta bianca per tornare a essere lui solo il dominus delle scelte per il futuro del capoluogo della Campania, nell’eventualità che la sua ex-pupilla dovesse farcela a vincere la sfida contro il più quotato de Magistris.
Ci sarà da amministrare le ingenti risorse provenienti dai fondi europei, da completare il piano infrastrutturale della città, da avviare la vendita dell’immenso patrimonio immobiliare del Comune. C’è sul piatto la gestione dell’affaire Bagnoli, che porterà fiumi di danaro pubblico. Su tutto questo don Antonio non si accontenterà di dire la sua. Uno come lui pretende di avere il timone tra le mani e di non dividerlo con nessuno. O è così o non se ne fa niente, avrà detto secco la volpe di Afragola al pinocchio venuto da Rignano sull’Arno. E alla Valente chi lo dice che non conterà niente? Avrà obiettato il povero Matteo, disturbato dalla cenere che gli colava dalla testa. Risposta: ci sono i talk-show e dibattiti di tutti i tipi a cui partecipare e altrettanti nastri da tagliare che la zelante Valente troverà come occupare il tempo libero. E poi come farlo digerire all’opinione pubblica? Semplicemente creando una struttura parallela di comando da insediare a Palazzo San Giacomo - sede del Comune - subito dopo la proclamazione di Valente vincitrice.
Parafrasando Lucio Battisti, Bassolino a Renzi: tu chiamala, se vuoi, cabina di regia. È ovvio che, sulla carta, don Antonio non apparirà. Verranno scelti nomi sconosciuti al grande pubblico, ma di stretta osservanza bassoliniana. Si tratterà di figure del mondo accademico, del sindacato e della magistratura. D’altro canto, già in passato l’ex governatore aveva attinto da questi ambienti il personale politico-amministrativo di sua fiducia. Se alla fine accordo c’è stato lo si saprà nelle prossime ore. Di certo, una clausola in calce al contratto Bassolino l’ha vergata di proprio pugno. Recita pressappoco così: per quanto riguarda Napoli, Vincenzo De Luca deve starsene fuori dalle palle. Intanto la povera Valente aspettava in pizzeria che Renzi gli comunicasse la sentenza. Quanto avrà pregato San Gennaro la ragazza per sentire dalla bocca del capo le fatidiche parole: il vecchio sta con noi.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:03