Un aforisma, un commento

“A coloro che si dicono contrari alla globalizzazione dovrebbe essere applicata una tassa aggiuntiva per il proprio impianto di ricezione televisiva satellitare, un’altra per poter vedere le Olimpiadi e i Campionati mondiali di calcio, un’altra per usare Internet, un’altra per gli acquisti di beni prodotti al di là dell’Oceano Atlantico o in Estremo Oriente e un’altra ancora o quando intendono rileggere con entusiasmo ‘Il Giro del Mondo in 80 giorni’”.

Come tante orecchie protese verso l’etere, le antenne paraboliche per la ricezione satellitare danno la misura della curiosità umana. Sapere cosa fanno i vicini e, ora, anche i più lontani, costituisce per l’essere umano l’appagamento di un bisogno, sia che si tratti di vicende gioiose sia che si tratti di accadimenti tristi. Purché, per carità, non ne siamo coinvolti. Ma il coinvolgimento globale è ormai sotto gli occhi di tutti ed è un fatto irreversibile. Nessuno l’ha deciso specificamente, perché è il risultato della naturale propensione umana a varcare le frontiere ed anzi ad abbatterle il più possibile in ogni ambito, dal commercio alle attività culturali, dal turismo all’esplorazione. Chi se ne lamenta, vorrebbe solo starsene tranquillo in poltrona, a casa propria, sapere cosa accade e, naturalmente, giudicare.

La globalizzazione non è però disdegnata né quando si tratta di informazione né quando ha a che fare con cose più concrete, come gli acquisti di prodotti di vario genere provenienti da Paesi lontani o i viaggi in crociera, tanto per vedere da vicino altri popoli e “altre culture”, per poi tornare a casa e raccontare. Come andare allo zoo, insomma, con gabbie robuste e ben difese. Eppure la globalizzazione è nella nostre aspirazioni e nel nostro destino da sempre. Nel 1848 venne pubblicato il “Manifesto del Partito Comunista” in cui Karl Marx e Friedrich Engels proclamavano “Proletari di tutti i Paesi, unitevi!”; alla fine del XIX secolo si inaugurano le Olimpiadi moderne con lo slogan “Tutti gli sport per tutti i popoli”; nel 1948, dopo due guerre anch’esse mondiali, nasce la World Health Organization che persegue “...il più alto livello possibile di salute per tutti i popoli”; nel 1968 scoppia, in ogni parte del mondo, la peraltro più effimera contestazione “globale”.

L’aggettivo “internazionale” è, non a caso, fra i più ricorrenti in ogni attività umana. L’esperanto, lingua sfortunata, manifestava esplicitamente il desiderio di superare le barriere linguistiche, ora attaccate, in termini globali, con più pragmatismo dalla lingua inglese. Altrettanto, l’ecumenismo, è stato, ed è tuttora, con le buone o con le cattive, nei progetti di molte religioni. Dovremo forse aspettare il 2048 perché ci si convinca che la Terra è un unico globo?

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:22