Bruxelles: ancora voi, maledetti assassini!

Bruxelles, capitale d’Europa, è sotto attacco. Intorno alle 8,00 della mattina due potenti esplosioni hanno provocato una strage all’aeroporto di Zaventem nei settori accoglienza-passeggieri, in prossimità dei banchi della Brussels Airlines e dell’American Airlines. Al momento nel quale scriviamo la contabilità delle vittime è ferma a 14 morti accertati e 81 feriti gravi, ma si tratta di un bilancio provvisorio. Dopo appena un’ora dal primo attentato i terroristi hanno colpito le stazioni di Maalbeek e di Schuman della metropolitana, a pochi passi dai palazzi delle istituzioni europee. In questa seconda azione sono cadute 20 persone ed è stato riscontrato un numero ancora imprecisato di feriti, tra i quali almeno 5 nostri connazionali.

L’autorità giudiziaria belga ha confermato la modalità suicida delle aggressioni compiute. Sui siti on-line vicini all’Is, che ha rivendicato gli attentati, si festeggia per il successo della missione. Bruxelles resta in stato di massima allerta perché gli inquirenti non sono in grado di dire se gli attacchi siano terminati o se, invece, bisogna aspettarsene altri. In un’ora tanto dolorosa il sentimento che prevale è quello della rabbia che accompagna la pietà per l’orribile sorte di tanti innocenti. Sì, rabbia! Perché questa strage non l’ha mandata il cielo, ma è l’ovvia conseguenza di una colpevole sottovalutazione della effettiva natura dello scontro in atto.

Siamo oltre l’ipotesi terroristica figlia di un disperante estremismo politico: siamo alla guerra di civiltà. I nemici in campo sono i soldati dell’Islam integralista con il quale nessun dialogo è possibile. Tutti coloro che in nome di una folle ideologia multiculturalista si sono illusi di poter proporre a quell’universo rovesciato valori condivisibili, oggi devono prendere atto della realtà. Un simile madornale errore di giudizio ci costringe, per il nostro stesso bene, a riscrivere una nuova equazione nel rapporto tra libertà individuali e sicurezza. Con una presenza ostile così diffusa all’interno delle nostre comunità, la vita quotidiana non può essere più quella del tempo di pace. Come le cronache attestano, i target scelti, di volta in volta, dai nostri nemici trovano comune denominatore nella volontà di paralizzare il fluire ordinato della civiltà occidentale. In Francia lo scorso anno sono stati colpiti i luoghi del tempo libero e, prima ancora, quelli della cultura e dell’informazione; oggi, a Bruxelles, vengono presi di mira i punti di snodo del sistema della mobilità, aerea e terrestre. E domani, dove attaccheranno? Non sono stupidi questi spietati assassini: essi studiano con attenzione gli obiettivi delle loro proditorie incursioni. Non manca di certo, in questa agghiacciante meccanica dell’orrore, la ricerca dei simboli da colpire. Anzi, la scelta dell’elemento simbolico è parte fondamentale della strategia jihadista. Le bombe rappresentano guanti di sfida sbattuti in faccia al nemico. Per quanto la nostra risposta in passato sia stata debole, inadeguata, frammentata è giunto il momento che tutta l’Unione europea s’interroghi sul proprio destino, se intenda essere la nazione compatta che finora non è stata o se, invece, pensi di contentarsi nel fare da cane da guardia ai conti pubblici e alle regole del commercio.

Con un’Europa siffatta che scopre di non battere con un solo cuore, di non avere la stessa anima, di non riuscire a stringersi come fratelli e sorelle di un’unica grande famiglia intorno alle bare dei fiori recisi, ieri l’altro, sulla strada di Tarragona, si finirà con l’andare fuori strada al prossimo tornante che la storia porrà sul suo cammino. Prima si comprenderà che è in corso una guerra da combattere uniti, si metterà da parte ogni condiscendenza verso i nemici, si attuerà la rappresaglia più spietata contro di essi ovunque si trovino, e prima la nostra bella e sacra Europa si trarrà fuori dai guai.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:58