Napoli, Sepe: prendi il tesoro e scappa

Napoli si mobilita per San Gennaro. La notizia fa rumore perché, oggi pomeriggio, migliaia di napoletani entreranno nel Duomo per protestare contro qualcosa di assai grave che sta accadendo. La vicenda riguarda il tentativo della Curia Arcivescovile di mettere le mani sui tesori custoditi nella Cappella di San Gennaro, ampolle con il sangue del Santo comprese.

Diversamente da quanto si pensi, il tesoro che la Cappella custodisce non appartiene alla Chiesa ma al popolo napoletano. La storia ha inizio nel 1527 quando a Napoli infuriava la pestilenza. I cittadini, in preda alla disperazione, fecero voto a “Gennaro”, se li avesse salvati, di costruire una nuovo edificio per il suo culto. Cessata l’epidemia, i napoletani furono di parola e dopo una raccolta di danaro impressionante, 138mila ducati, nel 1608 videro la posa della prima pietra. Da quel giorno i fedeli non hanno mai smesso di offrire doni al Tesoro del Santo. L’ammontare del suo valore economico è incalcolabile. Si dice che valga molto più di quello della corona inglese. Capolavori delle arti figurative e orafe sono custoditi nella costruzione eretta di fianco alla navata destra della Cattedrale. San Gennaro merita. Il suo culto interpella il senso di una religiosità speciale: popolare, profonda, che incide nella carne viva di una Napoli viscerale. Poi c’è il sangue miracoloso che non è semplice reliquia ma ierofania, rappresentazione tangibile del sacro, testimonianza di fede amplificata da ancestrali risonanze di divinità pagane.

La Cappella non appartiene alla Chiesa, ma alla città. Per quattro secoli la curia arcivescovile ha rispettato l’autorità della Deputazione che è l’organo decisionale al quale, per gli statuti costituivi, è affidata la cura e la tutela del Tesoro. Alla sua guida vi sono i discendenti dell’antica nobiltà napoletana, insieme ai rappresentanti del popolo. La Deputazione è presieduta dal sindaco di Napoli, a conferma del suo legame indissolubile con la città. Ma per il cardinale Crescenzio Sepe sembra che tutto questo non valga nulla. L’equazione che spinge l’alto prelato a mettere in discussione gli antichi patti è lineare, pur nella sua fallacia: il tesoro in quanto prodotto di fede deve rientrare nella giurisdizione dell’autorità ecclesiastica. Allo scopo, il chiacchierato cardinale reclama il diritto di nominare una parte dei componenti della Deputazione. Se ciò accadesse, le future sorti della Cappella sarebbero nelle sue mani. La governance della Deputazione vi si oppone con tutte le forze. La parola d’ordine che circola sotto le volte affrescate del Domenichino è: resistere! Tuttavia, nella disputa si è inserito un terzo protagonista: il ministro dell’Interno. Con un proprio decreto, Angelino Alfano ha stabilito di rendere esecutivo il D.P.R. n. 33/1987 che disciplina la gestione delle cosiddette fabbricerie, organismi privati deputati alla manutenzione ed ai restauri degli edifici di culto. L’articolo 35 del Decreto prevede che tali sodalizi siano gestiti da consigli di amministrazione composti da membri indicati sia dal ministero dell’Interno sia dal vescovo diocesano competente per territorio. Sepe si appella all’applicazione puntuale della legge per trionfare nella sua personale caccia al Tesoro. La Deputazione contesta che la norma debba valere anche per la Cappella di San Gennaro.

Di fronte all’inatteso colpo di mano ministeriale, probabilmente propiziato da alcuni solerti burocrati del Viminale che intrattengono eccellenti rapporti con Crescenzio Sepe, la Deputazione ha deciso di ricorrere alla giustizia amministrativa. Intanto, i napoletani oggi sono in campo per contrastare la “pugnalata alla schiena” inferta alla città dal ministro Alfano. D’altro canto, come biasimarli? Non è un bel segnale, per la cristianità, assistere a un atto predatorio compiuto da un pastore di anime. La cosa di certo non piace ai fedeli. E neppure a San Gennaro.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:01