
Approssimandosi una importante elezione amministrativa, Matteo Renzi rilancia la sua forsennata linea keynesiana da quattro soldi. Convinto che l’unico modo per far ripartire l’economia, acchiappando qualche voto in più, sia quello di sostenere la domanda aggregata in deficit, il grande illusionista toscano avrebbe predisposto un’ulteriore raffica di interventi privi di copertura finanziaria.
In particolare il premier, insieme ai suoi consiglieri economici, starebbe ragionando intorno ad un abbattimento dell’Ires di 4 punti, ad una decisa riduzione dell’Irpef da anticipare il prima possibile (nel suo demenziale cronoprogramma essa è prevista nel 2018) e un taglio di 6 punti percentuali nel cuneo fiscale, facendo eventualmente ricadere i costi sulle pensioni future. Tutto questo verrebbe poi suggellato dal blocco di 3 anni degli aumenti dell’Iva, come se l’attuale folle aliquota ordinaria del 22 per cento non sia già abbastanza alta.
Eppure i magrissimi risultati della cosiddetta “Renzinomics”, con una crescita del Pil asfittica e, per sopramercato, determinata da irripetibili fattori esterni, dovrebbero far riflettere il genio di Palazzo Chigi circa l’inefficacia sostanziale della sua linea keynesiana de’ noantri. Il risultato finale di queste continue stimolazioni eseguite a debito, oltre a far crescere il consenso a breve di un uomo affamato di voti, rischia di essere catastrofico, scaricando sul futuro del Paese i costi di una politica economica profondamente sbagliata. Sbagliata in primo luogo perché non si affronta - ma oramai è politicamente tardi per poterlo fare - il nodo fondamentale dei costi complessivi che la mano pubblica scarica sul sistema economico nel suo complesso. Ciò significa, in estrema sintesi, stimolare la crescita dal lato dell’offerta, incentivando ogni forma di investimento privato, attraverso la via maestra di una contestuale riduzione della spesa pubblica e della feroce tassazione.
Si tratta ovviamente di una linea che abbisogna di uno spazio temporale molto ampio e, soprattutto, di un leader politico che sia disposto ad affrontare le Forche Caudine dell’impopolarità, con la prospettiva di recuperare consensi nel tempo. Tutto il contrario di ciò che sta realizzando il forsennato demo-keynesiano al Governo, la cui unica attività sembra essere quella di riempire il suo attuale carniere di voti con i buchi di bilancio di domani. Non resta che tenerci l’elmetto in testa.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:02