
Non capita spesso che la politica ci omaggi di buone notizie. Questa volta, però, è accaduto: Angelino Alfano ha confermato l’intenzione di togliere la parola “destra” dal nome del suo movimento. Era ora! Per troppo tempo gli italiani hanno subìto gli effetti deleteri di una truffa semantica, ideata da un manipolo di transfughi del centrodestra.
Se Dio vuole questo sconcio è finito: d’ora in poi ognuno si mostrerà con la propria faccia, senza indebiti camuffamenti. Ma quale sarà quella della pattuglia di ex-forzisti che oggi vive all’ombra di Matteo Renzi? Probabilmente Alfano e i suoi coltivano l’illusione di presentarsi all’elettorato da redivivo partito democristiano. Sarà un’altra frode consumata in danno degli italiani perché l’occupazione fisica, sebbene parziale, degli scranni parlamentari che sono stati per decenni presidiati dagli eletti della “balena bianca” non fa dei neo-centristi i legittimi eredi di quella tradizione. Con tutti i limiti che l’esperienza democristiana ha avuto, non vi è con essi alcuna continuità politica. La Dc per molti italiani, di sinistra come di destra, ha rappresentato l’incarnazione di un potere da combattere. Tuttavia, bisogna ammettere che abbia dato all’Italia alcuni dei grandi leader che hanno fatto la storia del Paese. Uomini del calibro di De Gasperi, Fanfani, Moro, Andreotti si sono distinti perché perseguivano un chiaro progetto, condivisibile o meno, di riedificazione di una società malamente uscita dalla Seconda guerra mondiale.
Piaccia o no, quegli uomini hanno favorito l’ascesa del sistema industriale italiano ai vertici del capitalismo dell’Occidente; hanno raccolto una società povera, con grandi deficit economici e culturali, e ne hanno fatto, nel volgere di poco più di tre decenni, una realtà evoluta e sufficientemente benestante. Non sono stati certo immuni da giganteschi errori, però hanno mostrato di possedere una visione del mondo che ha convinto per molto tempo la maggioranza degli italiani. Negli anni della guerra fredda non ebbero vita facile a governare un Paese sul quale incombeva la presenza del più forte partito comunista dell’Occidente: eppure, tra poche luci e molte ombre, vi riuscirono. Poi sono tramontati, logorati da quello stesso potere che avevano gestito con mano di ferro in guanto di velluto.
Ora, la domanda sorge spontanea: che ci azzeccano Alfano e i suoi compari con questa storia? Nulla. Angelino erede di De Gasperi? Ma ci faccia il piacere, direbbe Totò. La Democrazia Cristiana provò a corrispondere ad una istanza di ricomposizione dell’unità dei cattolici in politica, ma vi riuscì solo in parte. A ben vedere neppure il Partito Popolare fondato da don Sturzo nel 1919 pretese di esser l’unica voce dei cattolici italiani. La stessa Dc, negli anni di governo tra il 1948 e il 1992, nella prassi quotidiana cercò insistentemente la mediazione tra contenuti identitari di matrice religiosa e valori laici radicati negli interstizi del tessuto morale della nazione. Le mutate condizioni di contesto su scala globale rendono oggi del tutto inattuale un progetto di riduzione al centro della componente cattolica, al momento equamente distribuita tra la destra e la sinistra.
Ora, davvero qualcuno pensa che una micro-formazione raccogliticcia possa riuscire dove uomini di ben differente statura politica non osarono? Sarebbe come dare credito ai vaneggiamenti di una formica che si dice pronta a caricarsi un masso sul propodeo. L’ipotesi più realistica è che ad Alfano ed ai suoi sia destinato un futuro nel sottobosco governativo dove, al pari di quello naturale, tra cespugli e roveti crescono frutti piccoli ma succosi. In fondo essere pagliuzze d’erba all’ombra di un grande albero ha i suoi vantaggi. L’importante è che ci sia chiarezza sul fatto che con la destra, declinata in tutte le sue versioni, costoro non abbiano più nulla a che spartire.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:04