Milano: centrosinistra   “veste” Sala

Il sipario è calato sulle primarie del centrosinistra a Milano. Il candidato alla poltrona di sindaco sarà Beppe Sala, il manager buono per tutte le stagioni gradito al premier Matteo Renzi. Ma la sua, con il 43 per cento delle preferenze raccolte, non è stata la marcia trionfale che qualcuno a Roma auspicava.

Il dato dell’affluenza è stato molto deludente: hanno votato in circa 60mila, 7mila in meno rispetto alle precedenti primarie del 2011 nelle quali si affermò l’outsider Giuliano Pisapia. Il candidato “moderato” è passato solo grazie alla spaccatura della sinistra interna che si è divisa tra Francesca Balzani e Pierfrancesco Majorino. I due hanno raccolto rispettivamente il 34 e il 23 per cento dei consensi espressi. È del tutto evidente che se uno dei due avesse rinunciato a correre, “l’opzione Sala” sarebbe miseramente naufragata. Ciò ha alimentato il sospetto che la presenza in campo di Majorino sia stata studiata ad arte nelle stanze romane del partito renziano per ostacolare i progetti egemonici della sinistra legata al sindaco uscente. In compenso, un aspetto positivo vi è stato: da oggi la politica italiana ha un nuovo ”cinese”.

Dopo gli anni ruggenti di Sergio Cofferati, il sindacalista dallo sguardo orientaleggiante, oggi è il tempo di Beppe Sala che ha raccolto i voti, non si sa quanto consapevoli, della comunità cinese meneghina. Non v’è dubbio che hanno fatto un certo effetto le immagini di quei giovanotti e giovanotte con gli occhi a mandorla che fotografavano l’attestato di voto insieme alla carta d’identità, appena fuori dai seggi. A chi dovevano dimostrare di aver fatto il loro dovere? È una domanda legittima alla quale il neo-candidato sindaco del centrosinistra farebbe bene a rispondere per fugare pensieri maliziosi. Sulla vicenda è scattato il soccorso rosso dei renziani i quali si sono affrettati a precisare che gli extracomunitari hanno inciso per il 4 per cento sul totale dei voti validi. Dato tutt’altro che ininfluente: se non ci fosse stato, lo scarto tra Sala e Balzani si sarebbe di molto assottigliato aumentando i dubbi sulle effettive capacità del city-manager di conquistare consensi a sinistra.

Tuttavia, la questione di fondo che emerge dalla campagna delle primarie a Milano è che i candidati in pista hanno mostrato di non possedere una convincente visione complessiva del futuro della città. Questo elemento dovrebbe spingere il centrodestra a valutare con attenzione la propria scelta. Quale figura di governo richiede una città complessa come il capoluogo lombardo? Sala è un manager e questo basta? Francamente, no. L’esperienza avrebbe dovuto insegnare che l’amministrazione di una metropoli richiede doti di ascolto e capacità di sintesi che un tecnico non è detto che abbia. Per governare le dinamiche di una società articolata un politico sarebbe di certo più indicato. Una città non è soltanto contratti da stipulare e bilanci da quadrare: è, prima di ogni cosa, comunità fatta di anime e d’intelligenze, di persone in carne ed ossa che esprimono bisogni da soddisfare, passioni da condividere e interessi da regolare. Una città non chiede soltanto efficienza dei servizi ma anche coesione sociale. Per ottenere successo un sindaco deve tirare fuori dal cassetto un progetto organico di sviluppo che corrisponda a una visione del futuro quanto più vicina a quella della popolazione che intende amministrare. Il centrosinistra in questo ha mancato.

Speriamo, allora, che il centrodestra non cada nella trappola del circo mediatico che vorrebbe un avatar contrapposto a Beppe Sala, un ologramma che ne rifletta specularmente l’immagine. Sarebbe un errore colossale rinunciare a una personalità con caratteristiche radicalmente diverse da quelle espresse dal candidato del centrosinistra. A proposito, signora Santanchè: ha impegni per i prossimi cinque anni?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:02