L’importanza di chiamarsi Federica

Sullo sfondo della polemica innescata da Matteo Renzi con la Commissione di Bruxelles c’è il caso di Federica Mogherini. L’Alto Rappresentante della politica estera della Ue sarebbe ai ferri corti con il governo italiano. Roma l’accusa di non aver fatto a dovere gli interessi del suo paese. Una volta nominata, la Mogherini, votandosi alla cieca fedeltà alla Commissione europea, avrebbe dimenticato il debito di gratitudine contratto con il suo mentore. La si accusa di non aver mosso un dito per impedire che l’Italia venisse tenuta fuori da tutti i tavoli convocati per discutere di strategie geopolitiche comunitarie.

Nel settembre scorso, del vertice di Parigi tra i rappresentanti di Francia, Gran Bretagna e Germania per discutere dei dossier sulla Siria e sulla Libia, Renzi non fu neppure avvisato, sebbene fosse in gioco un interesse diretto dell’Italia, soprattutto nello sviluppo della crisi libica. In queste ore è il capo della Commissione, Jean-Claude Juncker, a sparare a palle incatenate sul nostro premier. Segno che è in atto una manovra di isolamento del bulletto italiano il quale, nel corso dell’ultimo vertice dei capi di Stato e di governo della Ue, ha osato sfidare apertamente la padrona del vapore, la signora Angela Merkel. Forse Renzi si sarebbe aspettato maggiore solidarietà dalla sua ex-pupilla. Invece, la Mogherini non è andata oltre una laconica dichiarazione dalla quale traspare il desiderio di prendere le distanze dal suo creatore. Simona Bonafé, plenipotenziaria renziana al parlamento europeo, che alla Mogherini caverebbe volentieri gli occhi, ne ha bollato l’illuminazione sulla via di Bruxelles con una battuta all’acido prussico: “fatta la festa gabbato lo santo”.

Perché ora tutto ciò dovrebbe stupirci? Era scontato che si producesse un paradosso del genere: sono i frutti avvelenati dell’utopia della rottamazione renziana. L’esperienza in politica è un valore, non una colpa, come ha voluto far credere agli italiani il rinnovatore di Rignano sull’Arno. Federica Mogherini non aveva alcuna attitudine per ricoprire il ruolo di “Lady Pesc”. Lei è stata il peccato di presunzione di Matteo Renzi che pensava, novello Frankenstein, di poter manovrare a proprio piacimento la “Creatura” alla quale aveva dato un ruolo politico sproporzionato. Ma, come nel racconto di Mary Shelley, la “mostruosa creatura” si è rivoltata contro il suo creatore. Mogherini, non avendo alcuna spina dorsale, si è prontamente adeguata alla nuova condizione di membro di un’altra squadra. È umano che la “miracolata” si prodigasse per compiacere le aspettative dei nuovi datori di lavoro. Se non fosse che c’è di mezzo l’interesse della nazione, verrebbe voglia di dire a quell’arrogante di Renzi: hai voluto la bicicletta? E mo’ pedala”. Nostro malgrado dobbiamo restare vigili perché, dietro un apparente tradimento maturato in famiglia, potrebbe celarsi qualcosa di più grave. Renzi, per ragioni connesse ai deludenti risultati del suo governo, ha tentato di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica interna virando sullo scontro con Bruxelles. Questo cambio di rotta non è piaciuto a Berlino e ad altre cancellerie di peso.

Già in passato qualcun altro ha tentato di fare la guerra allo strapotere della Germania e sappiamo com’ è finita: governo silurato e un “Commissario”, di provata obbedienza europea, spedito a Palazzo Chigi. Non è escluso che oggi potrebbe ripetersi un altro “autunno del 2011”. Bruxelles, per rimpiazzare uno scomodo Renzi, potrebbe utilizzare la “commissaria tecnica” Mogherini allo stesso modo con cui si servì del signor Mario Monti. Ma questo per gli italiani sarebbe davvero troppo: passi la fantasia al potere, ma la nullità no! Ci toccherebbe di richiamare Oscar Wilde dalla tomba per fargli riscrivere la sua pièce teatrale. Questa volta però si titolerebbe: “l’importanza di chiamarsi Federica”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:05