Degli ebrei non ci si dimentica mai

La notizia è che un folto gruppo di accademici italiani lavora a un appello che invita la comunità scientifica al boicottaggio culturale di Israele, o quantomeno delle sue istituzioni ufficiali; una iniziativa sulla falsariga di quanto già accaduto in Gran Bretagna: «Non accetteremo inviti dalle istituzioni accademiche israeliane, non saremo referenti in alcuno dei loro eventi, non parteciperemo a conferenze da loro finanziate, organizzate o sponsorizzate, né coopereremo con loro», hanno scritto, nell’ottobre scorso, sul “Guardian”, trecento docenti e ricercatori britannici. Reazione a quelle che hanno definito «violazioni intollerabili dei diritti umani inflitte a tutto il popolo palestinese». Si poteva non imitare l’iniziativa d’oltre Manica? Certo che no.

Sembra siano 150 gli accademici che hanno aderito a un testo ancora in fase di definizione; si vogliono evitare, si fa sapere, toni troppo duri. Non tanto per convinzione, piuttosto per coinvolgere la massima platea possibile. La sostanza, per quanto la si voglia indorare, è comunque un "No" alle istituzioni ufficiali di Israele; bontà dei promotori il no non si chiede sia applicato a singoli intellettuali e docenti israeliani, purché invitati (o invitanti) a titolo personale.

A Londra nelle settimane scorse è diffuso una sorta di contro-appello, promosso tra gli altri da J. K. Rowling, l’autrice di Harry Potter, dallo storico scozzese Niall Ferguson, e da Simon Schama, docente alla Columbia University: «Stiamo cercando di informare e incoraggiare il dialogo fra Israele e i palestinesi in una comunità culturale e creativa più ampia. I boicottaggi culturali che vogliono isolare Israele sono divisivi e discriminatori, e non favoriscono la pace».

Non è la prima volta che accademici italiani sottoscrivono appelli e documenti per il boicottaggio di Israele. Circa cinquecento antropologi, per esempio, hanno denunciato “il potere, l’oppressione e la violenza strutturale” di Israele. Si badi: “strutturale”. Complimenti. L’appello chiede che “non si collabori a progetti o eventi ospitati o finanziati da istituzioni accademiche israeliane, non si insegni o si partecipi a conferenze di tali istituzioni, e non si pubblichi in riviste accademiche basate in Israele”. In trentacinque, docenti nelle maggiori università italiane si sono appellati al Commissario europeo della Ricerca, Máire Geoghegan-Quinn, perché escludano le istituzioni “complici delle violazioni israeliane del diritto internazionale” dai programmi di ricerca finanziati dall’Unione europea. Come nella migliore inquisizione. I fautori del boicottaggio culturale (lo hanno fatto Steven Levitsky, docente ad Harvard, e Glenn Weyl, dell’università di Chicago dalle colonne della “Washington Post”), spiegano che “amano Israele”; invocano il boicottarlo per salvare Israele da se stessa.

Vedremo se anche in Italia avremo delle Rowling, dei Ferguson e dei Schama, capaci di reagire all’inquietante (e limitiamoci all’inquietante) appello per il boicottaggio culturale di Israele. Per quel che mi riguarda, da oggi, metterò in tasca, come un talismano una stella gialla; da esibire all’occorrenza.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:01