BBC? No, è la Rai tibbù

Quella della Rai è l’ennesima riforma barzotta e pericolosa voluta da Matteo Renzi, non solo perché si riduce a una semplice manovra di concentrazione del potere, ma anche per l’assoluta mancanza di un disegno innovativo del servizio. Come se non bastasse, il comando assoluto posto nelle mani di un uomo scelto dal Governo, ribalta gli stessi principi di pluralismo e di democratico sistema dei pesi e contrappesi. Il Governo, infatti, in quanto tale, già dispone rispetto alle opposizioni di mezzi e strumenti di vantaggio, offrirne uno in più, tanto strategico quanto essenziale, ci pare totalmente incredibile.

Qui non si tratta di parlare in favore di questo o di quello schieramento, si tratta invece di determinare la certezza che a tutti gli italiani che pagano e sostengono la Rai, venga offerta un’informazione e una serie di prodotti pluralisti equilibrati ed utili. In Inghilterra, ad esempio, proprio perché Governo e maggioranza, che lo sostiene, dispongono di attrezzature rilevanti rispetto ai partiti di opposizione, alcuni finanziamenti pubblici vengono erogati solo a favore di questi ultimi, per bilanciare democraticamente le posizioni. Da noi, con la riforma della Rai si è fatto esattamente l’opposto e cioè si è dotato Premier e Governo di un’ulteriore arma potentissima, da utilizzare a piacimento senza che nessuno possa interferire. A conferma di questo e con l’approssimarsi della stagione delle nomine nella televisione, scalpitano tutti gli uomini del Presidente del Consiglio, o comunque vicini alla sua area, per essere messi sulle poltrone giuste.

Si tratta di un rito antico e completamente disattento alla necessità meritocratiche, un tempo si chiamava il valzer degli incarichi, ma con l’avvento di Renzi è diventato, o sta per diventare, una sinfonia del Premier e dei suoi preferiti. Ad adiuvandum, per rendere la torta più cremosa e dolce, si è fatto in modo di ridurre i mancati introiti da canone per aumentare la capacità di spesa di tutto il sistema televisivo. Per carità, in punta di principio la cosa è sacrosanta, resta il fatto di verificare il livello di problemi che genererà nei cittadini chiamati ad un metodo di pagamento che scatenerà liti, complicazioni e disuguaglianze; così come l’utilizzo che si farà di un budget presuntivamente tanto più alto. Non è un caso, infatti, che il primo step di esazione avvenga a luglio e cioè dopo le elezioni amministrative, quasi ad evitare la rabbia e i malcontenti della gente all’impatto con il nuovo metodo e con i problemi che genererà.

Insomma, a pensare male è peccato ma spesso ci si azzecca e in questo caso tutto sembra studiato come fosse un furbo escamotage. Manca nella riforma della Rai un giudizio preventivo dei desideri degli utenti che pagano, manca il sistema dei pesi e contrappesi che in aziende pubbliche di questo tipo è fondamentale, manca un progetto editoriale e industriale che certifichi le novità e gli ammodernamenti di una televisione diciamo “up to date”. Insomma, sembra essere più un colpo di mano, un take over o, per dirla in dialetto milanese, un “Ghe pensi mi” renziano, anziché un disegno di ampio e democratico respiro di una azienda che accusa il peso del tempo.

Per questo bisognerà vigilare almeno quanto ai tempi di Silvio Berlusconi, quando bastava una dichiarazione del Cavaliere sulla Rai per scatenare offensive di piazza, caroselli e pagine intere di contraerei giornalistiche a difesa del pluralismo ferito. Resta il fatto che, nel periodo di transizione, l’attuale Consiglio di amministrazione nel quale si riconoscono professionalità indiscusse, possa farsi valere e sentire a garanzia innanzitutto delle tante e preparate risorse umane interne e poi di un rinnovamento che sia veramente tale, piuttosto che una scuola di formazione del pensiero a favore del Premier e della sua maggioranza. La Rai ha fatto tanto ma può fare molto di più, basta intendersi sul cosa significhi questo.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:03