
I giornalisti al Presidente del Consiglio Matteo Renzi non piacciono. Eppure si fa intervistare ad ogni piè sospinto e occupa sistematicamente il video. Non c’è telegiornale, giornale radio, rubriche, talk-show di approfondimento che rimangano senza una dichiarazione del Premier del Pd e occupante di Palazzo Chigi. I dati dell’Osservatorio dei Radicali sono significativi e inconfutabili: il Governo e con esso Renzi fanno man bassa di minuti in voce e in immagini. Specialmente in Rai. Nonostante questa incontrovertibile verità il duopolista di Palazzo Chigi e del Pd vorrebbe diventare monopolista. Non potendo eliminare i media farebbe a meno dei giornalisti.
Alla consueta conferenza stampa di fine anno, a Montecitorio, gestita dal presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Jacopino, Renzi ha approfittato dell’occasione per esprimere una sua convinzione: “La mia posizione sull’Ordine dei giornalisti è nota: lo abolirei domani mattina. Non siamo intervenuti perché tutto quello che riguarda la libertà d’informazione necessita di grande prudenza da parte del Governo”. Il sasso è lanciato nello stagno politico e sociale. E la stessa cosa aveva fatto per i sindacati. E la Costituzione (le cui modifiche saranno sottoposte al referendum confermativo) e i principi di diritto? Via con una battuta. E la riforma dell’Ordine all’esame del Parlamento? Roba inutile se dovesse prevalere l’orientamento del leader del maggiore partito italiano. E l’art. 21 che fissa il principio che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”? Come e chi garantisce che la “stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”?
L’art. 21 nell’ordinamento giuridico italiano rappresenta non solo garanzia della fondamentale libertà di espressione ma punto di riferimento obbligato per la costruzione dell’intero sistema dell’informazione. E la legge sulla stampa del 1948 sancisce che “ogni giornale o altro periodico deve avere un direttore responsabile” di fronte alla legge. La figura del direttore è rilevante sotto il profilo tecnico, e in senso lato politico, in quanto su di essa si appuntano poteri e doveri di controllo e di direzione che si concretano nell’imprimere ai media la linea che costituisce il connotato qualificante delle opinioni espresse e da divulgare. E il direttore responsabile, anche penalmente, non può essere che un giornalista. La legge del febbraio 1963, che porta la firma di Guido Gonella, fissa all’art. 21 diritti e doveri precisi. “È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”. Una disciplina dell’ordinamento giornalistico vecchia? Si può discutere. La sequenza storica mostra, però, come l’esercizio e la pratica costante dell’attività giornalistica abbiano condotto a collegare la difesa dei loro interessi di categoria con la salvaguardia di valori generali di libertà. Da qui la tendenza all’istituzionalizzazione del settore a partire dal 1908 con la nascita della prima Federazione professionale, cui seguì nel 1911 la firma del primo contratto di lavoro.
L’Ordine risponde ad un modello noto nel sistema italiano perché applicato a tutte le più antiche attività professionali. Renzi vuol cancellare (rottamare) anche queste? La frase “l’Ordine dei giornalisti lo abolirei domani mattina” è infelice, soprattutto alla fine di un 2015 tragico per i giornalisti. Secondo l’ultima analisi di Reporter senza frontiere l’anno che si chiude registra un massacro di giornalisti: 110 reporter uccisi mentre svolgevano il proprio lavoro; alcuni, come i francesi di Charlie Hebdo, nelle loro redazioni. In un caso su tre si trovavano in teatri di guerra come Iraq, Siria, Yemen, Sud Sudan e Messico dove i narcos continuano ad uccidere i cronisti come Ruben Espinosa.
E in Italia? Renzi dovrebbe sapere che i giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi sono sotto processo per aver scritto due libri sul Vaticano in base a notizie che gli sono state fornire da fonti affidabili. Palazzo Chigi sa anche che un numero consistente di giornalisti, tra i 30 e i 50, sono protetti o seguiti dalle forze dell’ordine per le minacce ricevute. Non c’è soltanto Roberto Saviano ma anche Alessia Candito e Michele Inserra, minacciati di morte in Calabria; Gisella Ciccio e Rosaria Brancato minacciate per aver riferito gli sviluppi dello scandalo che vede coinvolti 23 dei 40 Consiglieri comunali di Messina.
Sono 521 i giornalisti, i blogger vittime di intimidazioni, minacce e abusi a causa del loro lavoro di cui l’associazione “Ossigeno Informazione” ha accertato la fondatezza degli episodi.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:27