Corruzione: storia,   costume e religione

Oramai è convinzione generale che l’Italia sia il Paese della corruzione. Non credo che questo giudizio (che, poi, è solo un pregiudizio) sia del tutto fondato. Non è fondata neppure la legenda che la corruzione sia “dilagata” in questi ultimi anni, così come non è vero che “le cose sono sempre andate così”.

La storia, anche quella della corruzione, non si ripete mai “automaticamente”. Ma il passato non può non lasciare tracce. E la tradizione ha il suo bel peso. Certo, anche in fatto di corruzione. Così come lo ha la religione. Non ho bisogno di procurarmi la fama di anticlericale, se mi pare di dover prendere atto che la Religione Cattolica, in qualche modo ha creato il sottofondo della cultura della corruzione. Le “raccomandazioni” sono il livello più basso della corruzione, quella, magari, ma non sempre, senza denaro, ma sempre con qualche utilità anche per chi le fa. Il “sistema democristiano”, anche se antecedente all’era dei computer, era una colossale macchina di “raccomandazioni”. Lo schedario dei “raccomandati” di Andreotti era una legenda.

Quando ero deputato presentai un progetto di legge (mai discusso) secondo il quale le “raccomandazioni” (chi sa perché i Funzionari della Camera si ostinavano a pretendere che scrivessi “le cosiddette” raccomandazioni) …sarebbero divenute reato. Anni prima avevo scoperto che al Ministero delle Finanze esistevano copertine (color azzurro) intestate a stampa “Fascicolo delle raccomandazioni…” con prestampate “provenienza”; “in favore di” e poi “date”, “riscontri…” etc.

Non solo non se ne fece niente ma me ne dissero di tutti i colori. Come minimo che non avevo attenzione per il mondo del lavoro (Sacconi). Ora la raccomandazione è un punto nevralgico del credo cattolico sul funzionamento dell’”Al di là”. Il passaggio dal Purgatorio (che, mi pare, non è stato abolito”) al Paradiso è questione di raccomandazioni. Nemmeno del tutto gratuite. “Messe in suffragio”, opere di carità e, secondo G.G. Belli, anche prestazioni sessuali per i poveretti (vedi sonetto “Santaccia de Piazza Montanara: “sceiete er bucio e te lo do’ in suffraggi - de quell’ anime sante benedette” (Strano: le “Anime Sante” erano quelle del Purgatorio, non ancora proprio sante, ma santificabili).

La Vergine (“nostra santa avvocata…”) ed i Santi erano (e, in parte) sono ancora, dei dispensatori più o meno efficaci di raccomandazioni, ognuno nel suo “ramo”, capaci di ottenere da Dio Onnipotente miracoli e salvezza. Né erano solo le credenze di un cattolicesimo popolare a fare della corruzione un mezzo per “progredire” nell’Al di là. Teologi e moralisti Gesuiti (ahi! ahi!) insegnavano che anche in questa valle di lacrime un po’ di corruzione, “moderata” ed “a fin di bene” era lecita. I casuisti gesuiti, specie spagnoli (Molina etc.) erano banditori di queste teorie, che mandavano in bestia Pascal ed i Giansenisti, che la Chiesa considerava mezzi eretici.

Sempre parlando della Chiesa Cattolica e del suo “dominio temporale”, lo Stato del Papa, credo che nel XIX secolo avesse un primato difficilmente contestabile in fatto di corruzione. La burocrazia in tonaca, dai parroci ai Cardinali aveva nel denaro della sua corruzione il lubrificante capace di superare sonnolenze ed inceppamenti d’ogni genere. Tutto, o quasi si poteva ottenere pagando: dispense da impedimenti matrimoniali, facoltà “de magna’ de grasso” nei giorni di “vigilia” e, con la parvenza di una multa, imposta da alcuni parroci, persino la facoltà di dire “parolacce”. Ma poi c’erano i “pedaggi” non ufficiali, la corruzione vera e propria. E’ singolare che il prezzo della corruzione si chiamasse in romanesco “lo strozzo” (G.G. Belli sonetto 1245 “La scola de li strozzi”). Una denominazione che fa pensare allo “strozzino”, l’usuraio, che prende per la gola i poveracci. Segno che il confine tra corruzione e concussione era, come sempre quando la corruzione impera, piuttosto vago. A Napoli Ferdinando II, il Re Lazzarone, pare si togliesse di torno gli ufficiali che “tenevano famiglia” e gli chiedevano sovvenzione ed aumenti di stipendio, “sfottendoli” perché “firmavano” (i conti delle forniture militari) senza riscuotere uno “strozzo”.

L’Unità segnò, almeno apparentemente, una svolta. La burocrazia piemontese, un po’ ottusa e pedante e, magari, prevaricatrice, pare fosse abbastanza onesta. Ancor più quella austriaca del Lombardo-Veneto. Ma scandali di grosse proporzioni cominciarono subito. In quella delle “Ferrovie Meridionali” furono coinvolti uomini insospettabili, come Bettino Ricasoli, il barone toscano dalla ferrea morale giansenista. E, poi, il più clamoroso: quella della Banca Romana (una delle “banche di emissione” di carta moneta, che, prestando generosamente a ministri ed anche al Re Umberto, emetteva biglietti “duplicando” i numeri di serie. In compenso il Cav. Tanlongo, suo presidente, fu nominato dal Re, senatore del Regno (ma il Senato non convalidò la nomina). Processato fu assolto. La prima guerra mondiale fu occasione di arricchimento di industriali soprattutto siderurgici. Che non avevano bisogno di “ungere le ruote” per ottenere commesse enormi e prezzi elevati. Li chiamavano “pescicani”. Pesci, la cui “pesca” era allora in Italia sconosciuta ed impensabile.

Il fascismo, del quale molto si favoleggiò del “magna-magna” dei suoi gerarchi, si può dire che “stabilizzò” la corruzione, assicurando protezionismo e compressione salariale agli industriali ed agli agrari contro la loro adesione, con l’organizzazione corporativa della quale nessuno ha mai studiato a fondo i vantaggi per determinati personaggi. Ciano, il ras fascista di Livorno, suocero della figlia del Duce e padre di quello che sembrava dovesse essere il “delfino” che, invece, finì fucilato, non mancò di realizzare ottimi affari e tanti quattrini a Livorno e dintorni. Farinacci, il fascista ultras, a Cremona faceva l’avvocato, benché somaro, e vinceva le cause concludendo le sue arringhe “il Duce aspetta l’esito di questo processo per avere conferma di una rinnovata giustizia italiana nel nuovo clima della Nazione fascista”. E faceva grosse parcelle. Ma, caduto il fascismo e creato un Alto Commissariato “per l’avocazione dei profitti di regime”, quest’ultimo concluse i suoi lavori restando con un pungo di mosche in mano. Quanto ciò dipendesse dalla vaghezza del concetto di “profitti di regime”, quanto dall’incompetenza di quella istituzione, quando dalla fretta di chiudere la partita per favorire i nuovi schieramenti imposti dalla guerra fredda e quanto, magari, dalla reale modestia dei molto favoleggiati “profitti”, non è facile stabilire e nessuno storico ha cercato di farlo con competenza e senza pregiudizi.

Piuttosto il fascismo ha creato le grandi strutture, gli “enti” d’ogni genere ed in ogni campo, su cui si è tessuta la grande rete della corruzione nel regime democristiano che li ha ereditati. Carlyle diceva che i mali di un regime si manifestano sotto quello che ad esso precede. Il sistema corporativo è sopravvissuto al fascismo ed ha sopraffatto liberismo e socialismo. Gli enti, soprattutto quelli inutili, si sono moltiplicati. Se ne sono creati moltissimi per la soppressione dei meno inutili precedentemente esistenti. Con il numero degli enti è, ed in misura esponenziale, è aumentato quello delle leggi e a quelle dello Stato si sono aggiunte quelle delle Regioni. Fatte malissimo, così da rendere necessario “correggerle”, spesso con un numero impressionante di correzioni inefficaci. Il pasticcio legislativo è stato, con l’intenzione di semplificarlo, reso ancor più intricato dall’opera di un apposito ministero, affidato ad un odontotecnico, con l’ausilio di una commissione che si direbbe costituita da clienti col mal di denti, tante cavolate hanno saputo mettere insieme.

L’ordinamento giuridico soffre di elefantiasi, di obesità e rischia di morirne. In mezzo alla giungla legislativa il cittadino, essendo oramai sempre più desueti ed obsoleti gli strumenti della scienza giuridica, si “arrangia”. Bypassando intoppi e ristagni “co’ l’arma der quattrino”, con la corruzione. Che, non a caso, si dice “ungere le ruote”, realmente bloccate dalla ruggine dell’inefficienza. Si corrompe per rubare. Ma anche per non essere derubati, per non essere soffocati. Farsi raccomandare è divenuto pericoloso. Raccomandare è divenuto inutile e non più conveniente. Meglio corrompere e farsi corrompere. Dunque viva la corruzione? Ci mancherebbe altro. Ma gridare viva l’onestà fa ridere e, magari, ti prendono per ladro. Con la Seconda Repubblica la corruzione ha cambiato qualità e misura. Eliminati i partiti, si “riscuote” in proprio. E ai funzionari, ai quali con la Prima Repubblica andavano le brici8ole, ora va la fetta più grossa. Una volta i comunisti non si curavano della corruzione, che consideravano un aspetto delle “sovrastrutture” del sistema borghese. Dal canto loro riscuotevano “per il partito”. Il “compagno Greganti” era uno dei loro eroi esemplari. Ora si sono “democratizzati”, con tendenza, però alla “monocrazia”. La storia cambia, una rimane sempre qualcosa di antico.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:33