
La Rai non dovrebbe permettersi di fare fiction su processi penali ancora in corso. Come quello al medico Pierpaolo Brega Massone tanto per intendersi. Andato in onda circa un anno orsono. Fiction che oltretutto spesso sono piene di ricostruzioni di parte, quando non errate, dei fatti. Ma è purtroppo la regola visto che anche per il palinsesto 2016 sono previste tante iniziative di stampo forcaiolo e giustizialista in materia di anti mafia, anti corruzione e via dicendo. “Il mondo come volontà e rappresentazione del pubblico ministero”. Per parafrasare Schopenauer.
E citando anche il brillante intervento di Arturo Diaconale (che della Rai è membro del Cda in quota centrodestra, con la “mission impossible” di riportare equilibrio e garanzie civili per la gente, imputati compresi, nei palinsesti di viale Mazzini) al congresso di Nessuno Tocchi Caino appena concluso. Proprio Diaconale ci ha dato la ferale notizia di ciò che bolle ai piani alti di viale Mazzini. In materia di pensiero unico forcaiol-giustizialista-manettaro. Una maledizione, anche economica, da cui l’Italia non riesce ad emanciparsi da quando qualcuno, forse all’estero, si inventò l’operazione “Mani pulite”. Per fottere Bettino Craxi, riuscendoci benissimo, e per mandare l’ex Pci al governo, in quest’ultimo caso fallendo l’obiettivo e anzi innescando il fenomeno politico di Silvio Berlusconi. Oggi forse al tramonto, dopo 20 anni di tentativi vani di cambiare l’Italia delle tricoteuses.
E in effetti il dibattito più interessante dell’appena finito congresso di Nessuno Tocchi Caino, tenutosi nello speciale ambiente del carcere di Opera a Milano (nella foto), è stato proprio quello di sabato mattina cui aveva partecipato Arturo Diaconale, che delle suddette tematiche garantiste si è fatto interprete in questi mesi con il Tribunale Dreyfus le cui iniziative sono state coordinate da Barbara Alessandrini. Tra i presenti, oltre allo stesso Diaconale, c’erano Alessio Falconio (direttore di Radio Radicale), Piero Sansonetti (direttore de “Il Dubbio”), Roberto Cannavò, Luigi Crespi (sondaggista, direttore di Crespi Ricerche), Marco Pannella (presidente di Nessuno Tocchi Caino, Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito) e Sergio Segio (ex capo di Prima Linea, poi dissociatosi dalla lotta armata, e oggi direttore dell’Associazione SocietàINformazione).
Il minimo comune denominatore dell’analisi di questo eterogeneo parterre era nel concordare sul fatto che l’emergenza sia diventata un veroe proprio progetto politico. La conseguenza di ciò è che, oltre a tante fortune editoriali costruite non di rado solo su carte di pm poi smentiti da giudici giudicanti, si è creato un humus il cui baricentro forcaiolo è passato dai “magistrati protagonisti sempre in televisione” ai giornalisti militanti “dall’instant book facile”. Viene chiamato “populismo penale” ed è ormai vissuto come un vero e proprio “disegno politico”, trasversale agli schieramenti, iniziato all’epoca del terrorismo, proseguito con la lotta alla mafia e poi fino a lotta alla pedofilia, al femminicidio, agli ultras degli stadi violenti e agli ubriachi dell’omicidio stradale. Le disgrazie della vita e i fenomeni del degrado sociale trasformati in voti passando attraverso leggi draconiane e spesso inapplicabili. Una specialità della casa. Il fondamento di questo progetto populista e pan-penalista consiste nel tenere il cittadino in costante e spesso immotivata angoscia mediatica per poi offrire la soluzione salvifica quasi sempre di stampo autoritario. Le carceri diventano così una forma di vendetta sociale di un Paese frustrato dall’impoverimento e assediato da una popolazione che tende a dare ai politici, non a torto, la colpa un po’ di tutto. E i politici, alla Angelino Alfano tanto per non fare nomi, come reagiscono? Fanno a gara nel bullismo mediatico che fa loro decantare in tivù le lodi del 41 bis o dell’ergastolo ostativo.
Così l’olocausto mediatico di chi incappa nelle maglie pesanti della giustizia, le manette esposte in tv, serve ad esorcizzare il malcontento generale. E a dare ai cittadini italiani, nel frattempo trasformati tendenzialmente in “plebe”, il contentino di repertorio. Il risultato è che, benché “la Costituzione più bella del mondo che mai nessuno dovrà cambiare” prevede all’articolo 79 i provvedimenti di clemenza (come l’indulto e l’amnistia) proprio come rimedi alle spinte demagogiche in campo penale che periodicamente hanno contraddistinto il nostro Paese fin dagli anni Trenta, in Italia sembra che solo il Papa abbia il coraggio di parlare di amnistia. Ma questo si può capire: lui non ha il problema di essere rieletto.
@buffadimitri
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:36