La democrazia non è  fatta solo di numeri

Il ripristino della integrità numerica dei giudici della Corte costituzionale, per lungo tempo costretta ad operare a ranghi ridotti, è un dato da accogliere positivamente. Fermo il fatto che, comunque, il Collegio, pur mancante di tre unità, ha continuato a svolgere le sue funzioni tamquam non esset, l’arrivo di tre giudici non potrà che favorire una migliore distribuzione dei carichi di lavoro e porterà una ventata di novità di cui sentiremo gli effetti nelle prossime decisioni. Maggiore cautela, invece, dovrebbe adottarsi nell’analisi delle cause che hanno prodotto il protrarsi della situazione per così lungo tempo e di quelle - ammesso che siano diverse - che hanno consentito il superamento dello stallo.

Mancavano tre giudici, uno dei quali non aveva cessato le funzioni per il decorso del termine novennale, ma perché era stato eletto alla carica di Presidente della Repubblica. Già nel mese di febbraio, il giorno stesso della elezione, avevo manifestato perplessità sul fatto che un giudice costituzionale in carica potesse assurgere alla Presidenza della Repubblica. Naturalmente, i dubbi concernevano non già la persona del presidente, ma le conseguenze di quel fatto sulla indipendenza della Corte. Ottima la scelta, pessimo il metodo. Forse non avevo del tutto torto.

La prima, tra le implicazioni indicate, è stata la paralisi del meccanismo di sostituzione dei giudici mancanti. Se la Corte diventa merce da impiegare nelle trattative politiche, è inevitabile che i giudici vengano scelti in base ad accordi politici. A chi volesse obiettare che, a ben vedere, così è sempre stato, rispondo che questa volta c’è un elemento in più: la scelta è effettuata sulla scorta del principio di maggioranza e in relazione alle questioni di cui la Corte è o, soprattutto, sarà investita. Legge elettorale, manco a dirlo, in primis. La politica entra a pieno titolo, quasi a gamba tesa, nell’organo di giustizia politica della Repubblica e potrebbe condizionarne il lavoro oltre il limite fisiologico.

Io non credo che il Presidente del Consiglio si renda conto di quello che potrebbe accadere. Con un decisionismo simile ad alcune operazioni berlusconiane ha messo il piede dove meglio sarebbe stato non andare: nell’interesse della Corte che, d’ora in poi, subirà la lottizzazione adottata per altri enti e perderà autorevolezza, giusta il vulnus alla sua indipendenza; nell’interesse della Repubblica, che potrebbe vedere alterati equilibri delicatissimi, da sempre gestiti in un palazzo lontano dalle contese quotidiane; nell’interesse nostro, che potremmo perdere un punto di riferimento indispensabile in un momento nel quale le relazioni tra le Corti (nazionali ed europee) è a dir poco problematico.

Hanno sbagliato, insomma. Hanno creato un incaglio dal quale sono usciti con una forzatura, del tutto anomala nel sistema repubblicano. La scelta dei giudici costituzionali, infatti, non si riduce ad una questione di voti, perché la democrazia non è fatta solo di numeri, ma di procedure. Compromesse queste, quelli non valgono nulla.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:37