
Se pur di difendere l’indifendibile si ricorre al garantismo, che in certi casi può ovviamente essere becero e peloso quanto il giustizialismo, non ci siamo. Infatti, fare finta che nella storia della Banca d’Etruria non vi siano intrecci, collegamenti e strani legami (sia familiari sia amicali) e che il decreto di salvataggio sia stato utile anche per evitare guai peggiori ad alcuni responsabili o presunti tali, per noi non è garantismo ma nel migliore dei casi qualunquismo pericoloso.
Il garantismo è virtù troppo nobile per essere tirato in ballo quando non è il sospetto strumentale o il fumus persecutionis a fare da padrone, ed è altrettanto troppo nobile per essere invocato quando dietro gli accadimenti c’è una catena di omissioni inaccettabili e di intrighi loschi da portare al disastro e al dramma umano. Nella vicenda della Banca Etruria non si tratta di voler emettere sentenze preconfezionate ma semplicemente di ammettere che la puzza di bruciato esiste eccome; e che questa puzza, che non avrebbe dovuto esserci, è stata talmente forte da colpire, purtroppo a morte, chi non è riuscito a sopportarla. Lo sfascio contabile di questo Istituto di Credito, come degli altri, non è nato dalla sera alla mattina, non si è verificato all’improvviso per eventi imprevedibili, ma si è progressivamente amplificato nel tempo con la piena consapevolezza di qualcuno, che bene sapeva come stessero le cose e come si sarebbero potute evolvere.
Sta tutta qui la questione. Sta qui il nodo delle responsabilità che vanno ricercate con ogni attenzione possibile. Stanno qui le colpe e le omissioni che vanno punite severamente. In Italia negli ultimi vent’anni si sono chieste, e talvolta sono state ottenute, dimissioni spesso per questioni risibili sia nel fatto che nel diritto, sono state lanciate accuse fumose e strumentali fondate sul nulla o quasi, paragonare quelle storie a questa per giustificare un garantismo forzato ad hoc non esiste e non ci piace. Il dissesto dell’Etruria e delle altre banche è una cosa troppo grave e troppo seria per ridursi ad uno scontro fra colpevolisti e giustificazionisti, accusatori e difensori, qui c’è di mezzo un popolo di risparmiatori ignari e la sopravvivenza economica di migliaia di famiglie per una causa che si doveva e poteva evitare.
Come se non bastasse, questa vergogna è la recidiva inaccettabile di tante altre che in questi anni si sono succedute nel mondo bancario e finanziario. Dunque, quando è troppo è troppo. Del resto, in certi casi farsi da parte anche per rispetto non solo del dramma vissuto dai malcapitati, ma soprattutto per la comprensione dei dubbi e delle enormi perplessità esistenti, più che doveroso è elementare e opportuno. Ecco perché ha ragione Roberto Saviano e quelle opposizioni che invocano dimissioni e chiarezza totale, ecco perché hanno torto quelli che minimizzano o escludono a priori, quelli che fanno gli struzzi e quelli che gridano ad un garantismo che in questi casi non c’entra niente.
Del resto chiedere ad un membro del Governo di farsi da parte in un contesto simile non significa accusarlo ex ante, a prescindere, e non significa nemmeno colpevolizzarlo speciosamente, ma al contrario stimolarlo ad un gesto opportuno di solidarietà a testimonianza della sua eventuale e totale estraneità e della comprensione del contendere. Detto tutto ciò, più che la solita commissione d’inchiesta, serve subito mettere mano ad una riforma dei poteri e delle competenze sia di Bankitalia che di Consob, serve che questi organismi offrano garanzie vere alla stabilità e all’affidabilità del sistema del credito e della finanza e serve di smetterla una volta per tutte di sentirsi rispondere che di più non era possibile fare. Solo così il dettato costituzionale, che tutela il risparmio, sarà onorato com’è obbligatorio che sia, altrimenti Renzi e il suo Governo, come pure i precedenti, continueranno a scherzare con il fuoco e prima o poi l’incendio sarà indomabile.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:21