Contro Di Matteo   una “bomba comica”

Andare a rilevare il ridicolo della storia dell’“agognato attentato” a Di Matteo destinato, checché ne dica Caselli, a puntellare lo sfasciume “storico-giuridico” del cosiddetto processo per la “Trattativa Stato-Mafia” (e magari anche qualche precedente magagna) può sembrare oggi qualcosa come sparare sull’ambulanza. Che sia tutta una baggianata non c’è dubbio. Che gli autori-editori della baggianata medesima insistano con “pezze colorate” che ne aumentano il ridicolo (il fondo dell’imbecillità non si tocca mai), corrisponde al modus operandi dei cialtroni imbecilli, che, diversamente dai cialtroni intelligenti o, almeno furbastri, non sanno ritirarsi in tempo dietro una cortina di silenzio.

Il silenzio (l’apparente credulità e la mancanza di ogni naturale reazione critica, se non proprio satirica e divertita che invece stupisce) irrita ed allarma; è il silenzio della stampa, di quella, almeno, che non è direttamente impegnata nel progetto sostanzialmente golpista dell’antimafia demenziale-affaristica palermitana (e non solo). Ce ne saranno pure di giornalisti e giornali che non sono sul libro paga del “Terzo Livello” antimafioso della mafia. Ma tacciono (e acconsentono) anche loro. Come fa una persona normale, un giornalista appena “normale” (senza allusioni) a non scoppiare a ridere, oppure ad allarmarsi (come noi ci allarmiamo) di fronte alla seconda edizione riveduta e corretta delle “rivelazioni” del mafioso “impunitario” (termine tecnico del regolamento giudiziario pontificio) Vito Galatolo. Dopo un bel po’ di mesi da quando espresse il suo pentimento rivelando di aver “inteso parlare” (o qualcosa del genere) dell’esplosivo giunto a Palermo per far saltare in aria Di Matteo, ora si “autopromuove” ad acquirente (parte in contanti, parte a credito) dei duecento chilogrammi di esplosivo.

Galatolo ha fornito diecine di particolari che ha puntualmente ritrattato, modificato e aggiustato appena sono giunti i primi rilievi di denunzia dell’impossibilità del suo assunto. Quantità, prezzo e modalità di pagamento. E poi la provenienza della somma. Chi gliel’aveva data? Chi lo aveva incaricato di andare a comprare quel quintale e mezzo, o due, di esplosivo? “Hanno fatto una colletta tra i mandamenti palermitani”. Chi ha contribuito? “Non si sa”.

Basta, c’è da vergognarsi al pensiero di chi, invece di servire lo Stato, se proprio non “imbecca” un tale assassino, buffone, acquista, col nostro denaro, i servigi osceni.

C’è solo da stupirsi, a questo punto, che l’accanimento nella vergognosa sceneggiata non sia arrivato al punto di trovare almeno un po’ di quel fantomatico esplosivo. Magari con un’etichetta con scritto “parte della provvista per l’attentato al dottor Di Matteo” che ne certifichi provenienza e finalità.

Ma con l’aria che tira in tutto il mondo, questo insistere sull’“attentato”, sull’esplosivo “arrivato a Palermo ecc.” rischia di scatenare magari la follia di qualche “cane sciolto”. È una commedia macabra che offende la memoria delle vittime di attentati veri e può indurre a compierne altri simili o di altra natura, che si potrebbero camuffare per quello “atteso” e, si può dire, “invocato”.

L’antimafia è in crisi. Ha veramente bisogno di un “botto” che ne faccia dimenticare le malefatte, le menzogne e le carnevalate. Autori di ciò sono gli “strateghi” di questo oramai evidente tentativo eversivo. Ma loro complici sono anche quelli che vogliono ignorare le buffonate evidenti ed i motivi di allarme autentico. Quelli che si ostinano a non vedere il golpe, quello reale d’oggi, mentre, magari, si sono crogiolati per anni inventandone ogni tanto uno da attribuire ai più inverosimili complottisti.

Mai come in circostanze come queste c’è da dire: “Chi tace acconsente”. Ed è il vero mafioso.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:24