
Il “vecchio sindacalista e militante del Pd”, Giuseppe Giulietti, non demorde. Ha atteso il XIV congresso del sindacato dei giornalisti Rai di Galzignano Terme presso Padova per ribadire la sua strategia per diventare presidente della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) dopo la morte di Santo Della Volpe. Strattonato da più parti al Consiglio nazionale di qualche mese fa aveva detto no e se non cambiano le condizioni continuerà a dire no alla carica. Ma, ecco il punto, non vuole “l’unanimità”. Chiede, per insediarsi al vertice della Fnsi, “consenso su un percorso. Se non c’è chiarezza sugli obiettivi, non sono disponibile. Il sindacato non è un partito, non è una corrente, non esistono giornalisti di serie A e B”.
E poi anche Beppe Giulietti invecchiando fa il pentito. “Non sopporto - ha aggiunto nel suo intervento - il meccanismo delle correnti nel sindacato che in Rai corrisponde ad una tripartizione morta 30 anni fa. Chi dovesse votarmi deve sapere quello a cui va incontro”. Il tono, il dialogare, l’oratoria è quella di sempre. Ma non è lo stesso Giulietti per anni capo del sindacato Usigrai e quindi solo di una parte dei giornalisti Rai? Non è lo stesso Giulietti uno dei leader della corrente “Autonomia e Solidarietà” (ovviamente di sinistra, erede della corrente dei “giornalisti democratici” di Sandro Curzi, Sergio Borsi, Andrea Barbato, Luciano Ceschia, Raffaele Fiengo, Miriam Mafai, Umberto Zanatta, Gabriele Cescutti, Franco Rossi, Vittorio Roidi, Ruggero Orlando, ecc.) da anni contrastata invano come egemone del pianeta editoria? A Giulietti non piacciono le correnti e infatti ha creato Articolo 21 con Della Volpe e Federico Orlando di cui è il portavoce. Il problema è cosa sta succedendo dentro la maggioranza della Fnsi e le sue contraddizioni e divisioni dopo il ritiro di Franco Siddi (ora consigliere del cda di viale Mazzini) e la nomina di Raffaele LoRusso come segretario generale.
Con l’intervento di Giulietti il congresso ha avuto un sussulto: telefonate, incontri, capannelli. Tutti ad interpretare le mosse del “capo carismatico” dei giornalisti Rai. Per il resto il dibattito è stato molto interno sulle prime linee d’intervento annunziate dal direttore generale Campo Dall’Orto, dalla presidente Monica Maggioni e dall’affondamento del piano industriale di Luigi Gubitosi. Per il direttore generale, voluto fortemente dal premier Matteo Renzi si attendono sfide rilevanti e secondo il segretario, Vittorio Di Trapani, “una valutazione sarà data dal sindacato dopo il confronto per il cambiamento radicale, coraggioso e innovativo” dell’azienda, aggiungendo che “non si parli più soltanto dei telegiornali ma di tutta l’informazione compresa quella d’approfondimento delle reti”.
Pur avendo incassato gli elogi del direttore generale l’informazione di viale Mazzini continua ad essere sbilanciata e poco pluralista. La fotografia l’hanno fatta come sempre i Radicali. In 143 edizioni dall’1 al 26 novembre 2015 al primo posto per minuti, percentuale e interviste si pone il governo (19,9 per cento e 107 interviste), al secondo posto si colloca il Pd con il 17,7 per cento e 113 interviste, al quarto posto arrivano il Movimento Cinque Stelle con il 12,5 per cento e 67 interviste.
E Renzi? Il Presidente del Consiglio ha ottenuto l’11,7 per cento del tempo e 66 interviste. Se sommiamo i dati di Palazzo Chigi abbiamo il 31,6 del tempo e 173 interviste. Al quinto posto c’è Forza Italia con il 10,4 per cento e 58 interviste, al sesto si colloca la Lega Nord con il 7,5 per cento e 43 interviste (quasi esclusivamente a Matteo Salvini), Fratelli d’Italia ha avuto il 3,4 per cento dello spazio e 18 interviste. E i Radicali? Nel totale solo lo 0,8 per cento e 6 interviste. Questo è il quadro di una parte dell’informazione. C’è poi quella delle reti (Vespa, Ballarò), quella radiofonica e quella delle testate regionali.
Tra le poche osservazioni c’è quella del segretario Usigrai uscente, Di Trapani, che ha evidenziato “con la scelta come coordinatore editoriale di un esterno (Carlo Verdelli) per di più senza esperienza radiotelevisiva si parte con il piede sbagliato. In Rai ci sono professionalità adeguate a costruire il necessario percorso di radicale trasformazione”. E inoltre a capo dell’ufficio stampa di viale Mazzini è stato nominato un giornalista proveniente dalle file dei collaboratori di Walter Veltroni e del ministro Orlando.
Il tutto non è un buon segno di cambiamento. Tanto meno radicale.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:25