Stasi: una sentenza a dir poco sconcertante

Il popolo garantista è rimasto letteralmente scioccato dalla sentenza della Cassazione che condanna definitivamente Alberto Stasi per l’omicidio di Chiara Poggi. Personalmente, dopo i primi due gradi di giudizio che lo hanno assolto, consideravo una mostruosità l’aver costretto questo disgraziato ragazzo a sottoporsi alle forche caudine di un appello bis. Una tale reiterazione dei processi, soprattutto “contra reo”, appartiene a mio avviso ad un sistema giudiziario che guarda al Medioevo quale modello di riferimento, non certamente ad un sistema avanzato che, soprattutto nel Paese di Pulcinella, dovrebbe tener conto dell’odierno strapotere esercitato dalla cosiddetta giustizia mediatica. Da questo punto di vista, sposo in pieno l’analisi del mio vecchio amico Vittorio Feltri il quale, proprio in merito al caso Stasi, sostiene in un suo esauriente editoriale che in questa triste vicenda abbiano vinto le “televisioni che al delitto hanno dedicato decine e decine di trasmissioni durante le quali fior di colpevolisti accaniti si sono esercitati nell’arte sadica di trafiggere l’imputato, spacciando per verità acclarate un sacco di balle, invenzioni, supposizioni prive di fondamento”.

E che ad “inchiodare” Alberto Stasi ci fosse un teorema inconsistente, gonfiato ad arte dalla pressione mediatica di chi ha sapientemente sfruttato il desiderio di vendetta della famiglia Poggi, se ne è accorto persino il Procuratore generale presso la Cassazione il quale, nello svolgere davanti alla Suprema Corte il ruolo della pubblica accusa, ha letteralmente frantumato un castelletto di congetture fondate sul nulla. Ciononostante e malgrado due assoluzioni consecutive, nessun ragionevole dubbio è stato concesso al povero Stasi, vittima sacrificale dei tanti, troppi adoratori della famigerata Colonna infame di Manzoniana memoria.

Anche la pena piuttosto blanda inflitta al condannato (16 anni) per un delitto così efferato conferma che ci troviamo veramente di fronte ad un pasticciaccio molto brutto, tanto da far dire al professor Alessandro Meluzzi, ospite di “Quarto grado”, che la “poca pena” di questo surreale iter giudiziario corrisponde alla “poca prova” con la quale si è voluto fortissimamente punire Alberto Stasi. Il delitto di Chiara Poggi ha molti punti in comune con quello altrettanto mediatizzato di Meredith Kercher, i cui procedimenti giudiziari hanno avuto un percorso analogamente lungo. Ma nel caso in oggetto, pur sussistendo a mio avviso ancor meno indizi rispetto ai due ex-fidanzati di Perugia - assolti come è noto dalla stessa Cassazione - la ruota della sfortuna giudiziaria ha giocato contro Alberto Stasi. Un poveraccio che avrebbe commesso un massacro ai danni di una ragazza che amava, ripulendo la scena del crimine e creandosi un alibi alla velocità della luce, senza uno straccio di movente plausibile. A tal proposito i giudici del secondo appello hanno scritto che Chiara Poggi era divenuta una persona scomoda per l’imputato. Talmente scomoda che ora Stasi dovrà pure risarcire la famiglia della vittima con un milione di euro. Giustizia è fatta.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:36