Risposte possibili al lepenismo

Non si dice nulla di nuovo se si afferma che il successo di Marine e Marion Maréchal Le Pen al primo turno delle regionali francesi non è una mera reazione di paura per gli attentati di Parigi. Lo hanno detto in molti, a cominciare da Massimo Cacciari. Ci si dimentica di quando i socialisti francesi, nel 2002, dovettero appoggiare il gollista Jacques Chirac contro Jean-Marie Le Pen, il fondatore del Fronte Nazionale, al ballottaggio per le presidenziali, e si trascura come oggi il successo di figlia e nipote sia in gran parte dovuto agli elettori tra i 18 ed i 24 anni.

È più opportuno chiedersi perché incontri consenso un programma nel quale si prevede l’uscita della Francia dall’Euro, la cancellazione della diretta cogenza dei regolamenti comunitari e delle norme delle direttive aventi pienezza di contenuto dispositivo, la difesa ad oltranza della produzione nazionale rispetto gli altri prodotti dell’Unione europea. Tutte cose che piacciono anche a Matteo Salvini, ai nazionalisti Polacchi ed Ungheresi, i quali tutti, se avessero più spirito di sintesi, potrebbero esprimersi proponendo la cancellazione dell’Unione europea, quella forma di governo civile attraverso istituzioni supernazionali, a cui, per effetto d’un processo d’integrazione economica, alcuni Stati hanno trasferito certe competenze nelle politiche economiche e sociali, e relative porzioni di sovranità legislativa. Infatti, l’Europa che lor signori vorrebbero esiste già: è il Consiglio d’Europa, la semplice organizzazione internazionale regionale fra 47 Stati aderenti, che non limita la loro sovranità legislativa, in quanto gli organi comuni possono solo elaborare convenzioni, cioè trattati, aperti alla ratifica degli Stati aderenti che lo gradiscano.

Se prima 6, poi altri fino a raggiungere i 28 Stati attualmente membri, sono andati oltre, in mezzo secolo di storia, e si sono ingaggiati nel processo d’integrazione che ha dato alla fine vita all’Unione europea, una ragione ci sarà. La ragione è che solo unificando i mercati si sono rimosse le cause interne di conflitto dovute agli interesse economici contrastanti, ad iniziare dal settore del carbone e dell’acciaio, che provocarono le guerre intestine, a partire da quelle napoleoniche sino alla seconda guerra mondiale. Non solo, ma soltanto con quell’integrazione s’è potuta salvare in Europa l’attività produttiva primaria, quella agricola, minacciata dai prezzi mondiali determinati dalle grandi produzioni massicce come quella nordamericana, ed avviare una forma di politica industriale ed ambientale. L’Europa è il primo mercato mondiale, ma inquina molto meno dell’America settentrionale, per non dire della Cina.

Se tutto ciò non è apprezzato a sufficienza, però, ci saranno dei motivi: parallelamente s’è sviluppata la globalizzazione economica, cioè un mercato mondiale che ha rotto le barriere esterne dell’Unione europea e nel quale ha prevalso la circolazione del bene più facilmente trasferibile per via telematica, il capitale finanziario, che può essere spostato premendo un tasto sul computer. Ciò ha portato al predominio di quell’economia bancaria, che “fa la cravatta” ai produttori di beni reali, e che Ezra Pound definì “usurocrazia”, forza dell’usura. Non è un caso se un movimento d’estrema destra in Italia si chiami CasaPound. Se l’Ue non si porrà il problema di combattere l’abuso di posizione dominante dei centri d’economia finanziaria questa protesta la travolgerà. Altra questione è l’assenza d’un potere politico militare unitario, che non permette d’affrontare le sfide del mondo sotto un’unica bandiera che scaldi i cuori, ma questo merita una riflessione a parte. Non si muore per una moneta.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:31