Pd tra “giovani turchi” e “Partito dei prefetti”

Le gaffe del Partito Democratico sembrano non avere fine, soprattutto sono animate dalla più profonda ignoranza storico-politica e teoretica. Due esempi per tutti: hanno chiamato una loro componente “giovani turchi”, dimenticando che era l’appellativo politico di coloro che organizzarono il genicidio armeno tra il 1915 ed il 1916. Non paghi, certi del Pd oggi appoggiano platealmente il “Partito dei prefetti”, dimenticando che tra il 1904 ed il 1921 operava (per volontà giolittiana) la sistematica repressione della socializzazione tra operai, la brutale repressione della “classe operaia”.

Il Pd renziano giustifica il proprio appoggio al “Partito dei prefetti” con un peloso “elevato senso delle istituzioni”. Di fatto con i prefetti torna la gestione antipolitica del territorio e della polizia. Nei primi vent’anni del Secolo breve s’aggiravano per tutto lo Stivale uomini con la bombetta sul capo, abito scuro e camicia bianca, sul volto dei baffoni a manubrio e, fortunati loro, scarrozzati dalle prime Torpedo 501: erano prefetti e sottoprefetti, brandivano manganelli e picchiavano operai e contadini che si riunivano per discorrere davanti alle fabbriche o nelle piazze cittadine (ruolo di reclutamento bracciantile). Nel Mezzogiorno alcuni contadini divennero i più acerrimi nemici dei prefetti di Giolitti, abbracciando l’ultimo brigantaggio o la migrazione.

Ma la restaurazione del “Partito dei prefetti” non la si deve nemmeno a Matteo Renzi, soggetto incapace di alcuna idea politica. Infatti il “Partito dei prefetti” tornava in auge grazie alla nomina, nell’anno 2000, del prefetto di carriera Sabato Malinconico (già commissario governativo per il Lazio e già capo dell’ufficio legislativo del ministero per lunghi anni), del generale Mario Nunzella (già consigliere per la sicurezza Palazzo Chigi) e di Gianni De Gennaro: nomine che facevano parte della strategia di Massimo D’Alema. Ma quest’ultimo è uomo di strategia, un politico, diversamente da Renzi che cavalca il “Partito dei prefetti” solo perché incapace di promuovere una propria classe dirigente. Ergo, possiamo cogliere non poche sfumature tra Giolitti e D’Alema, ma alcuna che abbia riscontro tra i testé citati ed il bullo fiorentino. Anzi, se paragonassimo Renzi a Giolitti e D’Alema finiremmo per avvallare un falso storico, attribuendo all’attuale Presidente del Consiglio attitudini e capacità che non possono appartenergli.

Oggi si contendono il resuscitato “Partito dei prefetti” ben due figuri dell’attuale palcoscenico politico, Matteo Renzi ed Angelino Alfano. Il primo lascia intendere che l’idea di Tronca (“Stronca”) per Roma sia balenata all’indomani di una sua chiacchierata con Sala (quello dell’Expo), il secondo fa capire che Tronca, Sala, Gabrielli e compagnia cantante sarebbero sempre pronti a candidarsi per il Nuovo Centrodestra.

Le similitudini tra Renzi e Giolitti sono davvero inesistenti, forti invece i parallelismi tra D’Alema e Giolitti: entrambi (a cent’anni di distanza dai fatti politici) sono ascrivibili al partito liberale di sinistra (ovvero i democratico-riformisti dal pugno duro).

Piccolo particolare, che tutti i Renzi dovrebbero rammentare: il cavalier Benito Mussolini era da pochissimo salito al potere, e l’allora prefetto di Milano (si narra fascistissimo) pensò bene di favorire l’incontro tra il Duce ed il generale Fiorenzo Bava Beccaris (senatore del Regno). Ma l’incontro non andava in porto, nonostante l’insistenza ed il prestigio del funzionario milanese. Infatti Mussolini non poteva dimenticare che da socialista aveva avversato il regio commissario straordinario di Milano, Fiorenzo Bava Beccaris: quest’ultimo aveva ordinato di sparare cannonate sulla folla, provocando la strage dell’8 maggio del 1898 in cui rimasero uccisi un centinaio di operai milanesi. In segno di riconoscimento per la brillante azione militare (a parere di Savoia), Bava-Beccaris ricevette da re Umberto la “Gran Croce dell’Ordine militare di Savoia” ed un seggio a vita al Senato. Si mormora che Bava Beccaris sia morto poco dopo il grande rifiuto oppostogli da Mussolini, e perché tra il 1923 ed il 1924 il Duce ebbe a spiegare ai prefetti di Milano (Saverio Naselli Rocca e Vincenzo Pericoli) che il suo intento era mettere d’accordo gli operai ed il “Partito dei prefetti”, quindi evitare contrapposizioni e scontri. Piccolo particolare, a sostenere il “Partito dei prefetti” di Giolitti erano padroni di fabbriche e proprietari terrieri, un misto d’alta borghesia e vecchia aristocrazia: ad appoggiare il “partito” di Renzi sono oggi quei banchieri ed industriali che gradiscono la drastica riduzione della qualità delle vita per l’italiano medio.

Di fatto Renzi sta commettendo lo stesso errore di Giolitti, spingendo le masse popolari verso le forme politiche sovversive, verso la tanto temuta rivoluzione. Un errore di politica economica che parte dal presupposto che la crisi si possa superare con salari sempre più bassi e con tagli orizzontali all’occupazione. Teorie che l’attuale governo mutua dall’Unione europea, che impone che lo Stato si tenga lontano da economia de impresa. Così Renzi opera perché non si concilino gli interessi dei lavoratori con quelli degli imprenditori, e minaccia gli esclusi dal lavoro col pugno della polizia. Oggi la piazza viene vietata ai disoccupati italiani, pena subire botte, arresti e processi. E perché il consenso verso il renzismo è presente anche nelle Procure, che volentieri condannano operai, artigiani ed ambulanti per resistenza e violenza a pubblico ufficiale.

La differenza del momento tra il 1910 (fino al 1915) ed il 2015 è evidente: all’epoca Crispi spingeva perché le idee nazionaliste iniziassero a diffondersi nell’opinione pubblica (quella borghese ne era già pregna). Ed il giolittismo era allora un movimento politico che condensava nazionalismo, “Partito dei prefetti” e ordine nella novella Italia. La nuova ideologia veniva chiarita con l’uscita della rivista “L’idea nazionale”: vi scrivevano Corradini, Federzoni, Rocco… Tutto un percorso politico anni luce lontano da quello a cui dice d’appartenere Renzi. Eppure i governi tra il 2011 ed il 2015 ci hanno regalato miseria, consumi molto bassi, arretratezza civile, neo-analfabetismo e nuova migrazione italiana: gli stessi ingredienti che ebbero a caratterizzare l’Italia di Giolitti.

Eppure lo scandalo della Banca Romana di età giolittiana aveva gli stessi ingredienti di quelli che oggi ricorrono per le quattro banche “salvate” (Banca Marche, Etruria, Ferrara e Chieti): ieri erano coinvolti gli uomini di Giolitti nella Romana, ed oggi i sodali dei genitori di Boschi e Renzi ricorrono nelle vicende dell’Etruria. I parallelismi ci sono, ma rimangono forti sui bassi profili del “Partito dei prefetti” e su quello spregevolmente bancario. Siamo ancora privi di una risposta da consegnare alla storia: ovvero se riuscirà il “Partito dei prefetti” a scongiurare attentati islamici ed una nuova “Settimana Rossa”. Anche la nostra neutralità bellica ci rimanda a cento anni fa, quando dovemmo intervenire un anno dopo, sempre a rimorchio delle Potenze Centrali (così erano appellate all’epoca Francia, Prussia ed Inghilterra). Oggi le stesse potenze ci tengono per le palle in nome dell’Ue.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:29